La vita dei macachi
in un laboratorio
universitario italiano
Immagini realizzate sotto copertura mai viste in Italia
Marta, Charlie e altri macachi sono rinchiusi nelle gabbie di uno stabulario, presso un’importante università italiana. Questi non sono i loro veri nomi, che abbiamo deciso di non divulgare così come non divulgheremo il nome di chi ha lavorato in questo laboratorio con lo scopo di documentare e rendere visibile la triste vita di questi animali. Questi macachi vivono in piccole gabbie metalliche completamente spoglie. Inseriti nel cranio e nelle tempie hanno degli elettrodi, necessari per gli esperimenti di neuroscienze a cui sono sottoposti. Una vita di totali privazioni porta molti di loro a comportamenti stereotipati: si muovono avanti e indietro nella gabbia, leccano compulsivamente le pareti e mordono lucchetti e sbarre.
Non abbiamo documentato esperimenti particolarmente dolorosi, ma l’infinita tristezza in cui vivono questi macachi per lunghi anni di ricerche. Oltre la porta del laboratorio, dove vengono portati per gli esperimenti, bloccati nelle gabbie di contenzione, non sappiamo cosa accada. Crediamo che queste immagini siano sufficienti per interrogarci sull’utilizzo degli animali nelle università e nei centri di ricerca italiani. Lo sguardo impotente dei macachi tocca il cuore e non può lasciarci indifferenti. La domanda che questi animali sembrano farci è “davvero non possiamo fare in modo che questo non sia più necessario?”
Il cibo è l’unica loro felicità, che posso dargli solo a piccoli dosi: serve per farle “collaborare”, mi dicono. Alcune scimmie non bevono da quasi una settimana; quando apro il rubinetto cercano di attirare la mia attenzione, agitano le sbarre, gridano, con la bocca fanno il gesto di quando bevono dal beverino; hanno sete, molta.
Sono circa 600 i laboratori autorizzati dal Ministero della Salute a compiere esperimenti su animali. Si tratta di centri di ricerca pubblici o privati, situati all’interno di aziende farmaceutiche, università e ospedali. La buona notizia è che anno dopo anno il numero totale di animali utilizzati per la ricerca scientifica è in graduale diminuzione: oggi sono poco meno di 600 mila mentre soltanto dieci anni fa erano quasi 1 milione. Questo grazie a nuove tecnologie, all’obbligo di ricorrere agli animali solo quando strettamente necessario e se non ci sono alternative, così come molto probabilmente a un aumento di sensibilità nella società.
I numeri sono ancora alti e soprattutto in alcuni ambiti come istruzione e formazione (in cui l’utilizzo di animali è vietato se non per alta formazione universitaria) e ricerca di base (dove non c’è alcun obbligo ed è quindi scelta del ricercatore avvalersi degli animali) potrebbero essere eliminati o ridotti notevolmente fin da subito.
Nonostante un percorso positivo di riduzione degli animali è da segnalare un aumento del ricorso ai macachi. Nel 2015 erano 224, sono raddoppiati a 454 nel 2016 e arrivati a 548 nel 2017. Questo numero aumenta ulteriormente se si includono i primati riutilizzati in una seconda procedura, con una cifra finale di 586 primati. In questo caso è importante notare che il Ministero dovrebbe autorizzare l’impiego di primati non umani solo in via eccezionale e nel caso la ricerca non possa essere condotta altrimenti.
I macachi più utilizzati nei laboratori italiani sono Macaca fascicularis. Questi animali provengono da allevamenti in Cina, Laos, Vietnam o Isole Mauritius. Sono nati in gabbia, ma buona parte di loro da madri appena catturate nelle foreste, pratica necessaria per continuare ad avere una buona genetica negli animali, che si impoverirebbe con troppe generazioni in cattività.
La sperimentazione nei laboratori è uno dei settori in cui è maggiormente difficile reperire immagini. Il nostro scopo come organizzazione è rendere visibile ciò che accade agli animali per togliere ogni velo di segretezza alle pratiche cui sono sottoposti milioni di loro. Perché conoscerle è il primo fondamentale passo per discuterne e pensare di superarle. Ed è con questo spirito che diffondiamo questa indagine, per contribuire a una discussione nella società, ma anche nella comunità scientifica, verso un superamento della sperimentazione sui primati e su tutti gli altri animali.
Spesso i cambiamenti in un settore, benché possano derivare da spinte esterne, dipendono fortemente da dinamiche interne. Già ora vi è l’obbligo di ricorrere all’utilizzo di animali solo quando strettamente necessario e se non vi sono alternative. L’implementazione di metodi sostituitivi dipende quindi alla stessa comunità scientifica. Per questo motivo è proprio dall’interno del settore che dovrebbero emergere e trovare più spazio le persone interessate non solo a curare le terribili malattie di cui soffrono tanti nostri simili, ma anche a porre fine a un metodo che l’80% degli italiani considera crudele. Le due strade non sono e non devono essere in antitesi.
Occorrono menti che studino e mettano a punto metodi sostitutivi, così come maggiori finanziamenti, più dibattiti sui limiti etici nella scienza, riviste scientifiche che diano spazio a questi temi, studenti con il sogno di diventare grandi scienziati e poter risolvere questo dilemma etico della società. Ed è a queste persone che è diretto lo sguardo impotente dei piccoli macachi del video. Fate il possibile affinché queste immagini siano in breve tempo solo un triste ricordo!
Grazie al nostro Team Investigativo milioni di persone scoprono gli abusi e le crudeltà sugli animali e possono prendere parte a un cambiamento. Un lavoro che salva gli animali e ha bisogno del tuo sostegno.