Vi racconto quello che ho visto in 7 giorni dentro un allevamento

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Vi racconto quello che ho visto in 7 giorni dentro un allevamento


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Tommaso

Quella che vi sto per raccontare è la mia esperienza durante un’indagine sotto copertura in un allevamento intensivo di mucche. Per aiutarmi riprenderò in mano il diario che ho tenuto, giorno per giorno, dove ogni sera scrivevo tutto ciò che avevo visto e provato.

Giorno 1

Sveglia alle 4 in punto. Con un po’ di nausea sgranocchio una fetta biscottata, mentre rileggo il materiale sugli allevamenti che ho imparato prima del colloquio – non voglio sbagliare qualcosa e farmi scoprire. L’allevamento si trova nel Nord Italia, si vantano di avere circa mille mucche e durante il colloquio ho scoperto che riforniscono un marchio bello grosso – per ragioni legali non posso dire quale sia.

Oggi come da procedura non metterò la telecamera nascosta. Rischio di perdere immagini forti, è vero, ma è più sicuro studiare il campo e iniziare a filmare solo quando so come gira la situazione lì dentro.

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Arrivo all’allevamento prima delle 5. Mi avvicino alle stalle e… che puzza di m*rda. Trattengo le smorfie perché con me c’è Alessandro (non è il suo vero nome). Lui sarà il mio referente e nei prossimi giorni mi spiegherà cosa dovrò fare.

Gran parte della mia mattinata trascorre in sala mungitura, dove passo quasi tutto il tempo a pulire pavimenti, spostare e mungere le mucche. È una situazione che incasinata è dire poco. A un certo punto Alessandro mi chiama. Stanno togliendo le corna a 11 vitellini di sette giorni, devo aiutare a tenerli fermi. Usano una pasta di soda caustica sulle corna e il primo inizia ad agitarsi. È un’operazione che gli provoca dolore e stress, anche se consentita dalla legge. «C*zzo Tommaso, questo lo hai fatto muovere troppo. Bloccalo forte, così». Mentre lo dice, immobilizza il secondo in modo brutale. «E se si muove troppo, colpiscilo, tanto non gli fai male».

Giorno 2

Mi alzo dopo una notte in bianco, non ho dormito per la tensione: oggi è il primo giorno in cui indosserò la camera nascosta. Si tratta di una micro-camera, la nascondo in un bottone della giacca. Spero non mi scoprano. Dovrò stare attento a come mi muovo per inquadrare tutto nel modo giusto, ma soprattutto incrocio le dita che la camera non mi lasci a piedi. Sono tesissimo, mi si chiude lo stomaco, ma mi devo concentrare. Mi ripeto: «sono qui per questo, sono qui per gli animali, non-devo-fare-c*zzate».

Sono ancora in sala mungitura. Mentre attacco le mucche alla mungitrice meccanica, vedo gli animali con le zampe ferite, così lacerate che si vede la carne viva. Sporche e non disinfettate, sono a rischio di gravi infezioni.

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Giorno 3

Oggi assisto alla movimentazione delle mucche per portarle alla mungitura. Un mio collega sferra dei colpi molto violenti sulla testa di alcune mucche con una spranga di ferro per farle andare più veloce. Rimango fermo un istante, mi colpisce lo sguardo di una di loro che arretra spaventata. Ma la cosa peggiore è un’altra…

Alessandro mi dice «Andiamo a mungere quella che ha appena partorito». È visibilmente esausta, ancora sofferente e fatica a reggersi in piedi. Mi accorgo del vitello solo perché Alessandro lo sta portando via mentre con un ghigno urla: «tanto il tuo vitello non c’è più». Mentre spostiamo la mucca lei si agita, e i suoi muggiti risuonano nell’allevamento.

Giorno 4

Sono sfinito, non ce la faccio più. I ritmi di lavoro sono insostenibili. Alessandro mi racconta che ha fatto 150 ore di straordinari e continua lamentandosi «ma per loro non sei mai qua». Lo sfruttamento degli operatori è all’ordine del giorno e questo ha conseguenze anche sul modo in cui trattano gli animali.

Per me il lavoro continua anche dopo il turno: devo controllare le riprese, salvare i file, ricaricare la telecamera… Finisco a notte fonda e riesco a dormire solo poche ore. La cosa peggiore è lo stress emotivo. Gli animali vengono insultati di continuo, la violenza verbale è molto forte – fastidiosa perché inutile. Ovviamente si accompagna quasi sempre alle botte, che non mancano mai.

Giorno 5

Oggi avrei voluto solo chiudere gli occhi. Vedo continue scene di violenza. Un collega dà un calcione a una mucca, per intrappolarla e poi inseminarla. «Questa è violenza» continuo a ripetermi. Alessandro e un collega calciano e prendono a sprangate sul corpo e sulla testa con una barra di acciaio di 2kg un’altra mucca che fatica a entrare nel recinto.

Giorno 6

Se non hai i nervi ben saldi, in questi luoghi, rischi di impazzire. Stavamo caricando dei vitelli su un furgone, per portarli all’ingrasso – e poi al macello. Usavamo la biga montata sulla forca del trattore, e ne trasportavamo 5 o 6 alla volta, una cosa folle a ripensarci.

È in quel momento che vedo Federico, un altro operatore, che inizia a urlare contro un vitello appena nato. Poi lo prende in braccio, quasi scusandosi e lo porta via dalla mamma. Non è la prima volta nella mia esperienza che vedo lavoratori che alternano momenti di rabbia e violenza con altri di gentilezza e tenerezza. Un cortocircuito tipico di questi luoghi dove davvero se non hai i nervi ben saldi vai fuori di testa.

Giorno 7, l’ultimo

Di nascosto sono riuscito ad avvicinarmi a un vitello.
So che avrò qualche minuto da solo e ne approfitto per avvicinarmi a questi cuccioli e mostrare un po’ di tenerezza. Molte persone non lo sanno, ma l’industria del latte si basa sullo sfruttamento e la violenza anche verso questi animali. A poche ore o pochi giorni di vita, vengono strattonati e trascinati come oggetti, portati via dalla loro mamma. 

Più tardi, di nascosto, riesco ad avvicinarmi a un vitello. Mi sta guardando, così gli porgo la mano. All’inizio si ritrae, poi però il suo istinto lo porta a fidarsi di me e a succhiare le dita. La separazione tra mucche e vitelli è una crudeltà. Mi commuovo, ma non devo farlo vedere. Lo saluto e me ne vado: è il mio ultimo giorno.

L’intervista di Tommaso: guarda il video

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