Peste suina in Italia: facciamo il punto


Maria Mancuso
Web content editor

Da gennaio 2022, quando la peste suina è stata ufficialmente registrata anche in Italia, i casi sono aumentati fino ad arrivare a interessare attualmente sette regioni: Piemonte, Liguria, Lazio, Calabria, Campania, Lombardia e Sardegna, dove la malattia è endemica dal 1978.

Il primo caso di peste suina africana (PSA) nell’Italia continentale è stato confermato il 7 gennaio 2022 in Piemonte, nello specifico in un Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. Pochi giorni dopo sono stati identificati dei casi in Liguria, in provincia di Genova, e poi, il 5 maggio, nel Lazio nella Riserva Naturale dell’Insugherata. Fino a questo momento la malattia aveva colpito soltanto dei cinghiali, finché il 9 giugno 2022 la malattia è stata riscontrata anche in un allevamento di suini allo stato semibrado a Roma.

Dopo quasi un anno, a maggio 2023, è stata confermata la presenza della malattia anche in Calabria, a distanza di pochi giorni, in due allevamenti di maiali allo stato semibrado nel comune di Africo, in provincia di Reggio Calabria. Sempre nello stesso mese sono stati segnalati dei casi in alcune carcasse di cinghiale in Campania.

maiali ammassati allevamento reggio emilia
L’infezione può avvenire in diversi modi, non solo con il contatto diretto con animali infetti, ma anche con oggetti contaminati o l’ingestione da parte degli animali di resti di carne infetta
© Essere Animali

C’è poi la Sardegna che rappresenta un caso a sé stante in quanto la PSA in questa regione è endemica dal 1978 e si è diffusa sia nei suini allevati sia nei cinghiali. Come segnala il Bollettino epidemiologico nazionale, tuttavia, il virus documentato nell’Italia continentale è geneticamente diverso dal quello che diffuso in Sardegna e corrisponde a quello che circola in Europa da alcuni anni.

Dall’1 gennaio 2022 al 7 luglio 2023 il numero di animali positivi alla PSA sono stati 1013 tra i cinghiali e 10 focolai tra i suini allevati. In questo articolo spieghiamo tutto ciò che c’è da sapere sulla malattia, che non è pericolosa per l’essere umano, ma che è estremamente letale per i suini.

L’intervento del Ministro Lollobrigida

Il 5 luglio, il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, è intervenuto al Question Time alla Camera dei Deputati per rispondere a una interrogazione sui tempi di emanazione del decreto di ripartizione delle risorse stanziate a favore delle aziende per il risarcimento dei danni causati dalla peste suina africana.

Il Ministro ha definito la «proliferazione incontrollata» dei cinghiali come «la principale causa della diffusione sul territorio nazionale del vettore». E ha in seguito fatto riferimento alla figura del commissario straordinario alla peste suina come la figura che dovrà definire «il piano straordinario delle catture a livello nazionale regionale, con tempistica, obiettivi numerici di cattura e abbattimento e smaltimento» e infine ai ristori in supporto del settore suinicolo.

Da inizio marzo 2023 il commissario straordinario alla peste suina africana è Vincenzo Caputo, direttore dell’Istuto Zooprofilattico di Umbria e Marche, che ha espresso con decisione la volontà di focalizzarsi su abbattimenti massicci di cinghiali, sia facendo uso di una «componente pubblica di uomini e donne specializzata» sia di del «mondo del volontariato della caccia».

I rischi per il settore

A maggio Colfagricoltura Cuneo ha presentato uno studio che quantifica, nell’immediato, un danno diretto per il comparto agricolo e alimentare di oltre mezzo miliardo di euro nel caso in cui la peste suina africana fosse individuata nella provincia cuneese.

Quando, a fine giugno, è stato riscontrato un caso in Lombardia, Paolo Maccazzola, presidente di Cia Lombardia, ha affermato: «La situazione è gravissima, serve arginare questa piaga prima che si arrivi al blocco della circolazione dei prodotti di derivazione suina». Una delle misure che infatti i Paesi mettono in campo per difendersi dalla PSA è quella del blocco delle importazioni dalle aree in cui la malattia è diffusa. Il virus infatti è capace di sopravvivere per diversi mesi nella carne processata e due anni in quella congelata.

Nel caso la PSA si diffondesse negli allevamenti intensivi lombardi il danno sarebbe enorme: la Lombardia è la regione con il maggior numero di suini di tutta Italia, circa il 50% di tutta la produzione nazionale, vale a dire oltre 4 milioni di capi, un settore che vale 1,2 miliardi di euro.

allevamenti con peste suina
Nel 2019 la pandemia di peste suina africana in Cina ha portato all’abbattimento di circa 200 milioni di maiali, macellati in anticipo o morti a causa della malattia.
© Reuters

E proprio per questo la Regione Lombardia sta già lavorando a un piano per evitare gli abbattimenti di massa dei suini negli allevamenti con l’entrata in scena di una «task force di macelli» attrezzati a lavorare anche la carne di maiale proveniente dalle aree colpite dalla PSA, immettendola quindi sul mercato ed evitare i danni economici. A determinate condizioni infatti spiega al Sole24Ore Davide Calderone, direttore di Assica, il regolamento europeo permette di commercializzare la carne di animali provenienti da zone infette sul mercato europeo. Resta più complicato invece l’export verso Paesi fuori dall’Unione.

Non solo danni economici

Come spesso accade in questi casi, le associazioni di categoria e le istituzioni si stanno concentrando sui rischi per il settore zootecnico, ignorando completamente le sorti degli animali, suini e cinghiali. I primi rischiano di morire per una malattia con un tasso di letalità di quasi il 100% oppure in un macello per produrre carne o salumi. I secondi, accusati di essere un pericoloso vettore del virus, rischiano anche loro di morire per la malattia o, nella migliore delle ipotesi, durante gli abbattimenti.

L’approccio continua ad essere quello che guarda agli animali selvatici come un problema e quelli da allevamento come merce da sfruttare e non, in entrambi i casi, di esseri senzienti capaci di provare dolore e paura. Per noi la soluzione resta quella di rivedere profondamente il nostro sistema alimentare basato sull’uccisione e lo sfruttamento degli animali. Una soluzione migliore per gli animali, l’ambiente e la nostra salute.