L’Italia è il primo Paese al mondo a vietare la carne coltivata. Il mondo, però, va nella direzione opposta. Di questo si occupa il servizio di Report, su Rai 3, a firma di Giulia Innocenzi che ieri sera si è concentrato su questo tema scottante.
Nella puntata di ieri sera di Report è andato in onda un lungo servizio dedicato alla produzione e la commercializzazione della carne coltivata in laboratorio. Un prodotto alternativo alla carne tradizionale che potrebbe porre fine alla sofferenza di milioni di animali ogni anno.
Singapore è il primo Paese al mondo ad aver autorizzato la carne coltivata ed è proprio qui che la giornalista Giulia Innocenzi è andata per assaggiare il pollo coltivato dell’azienda americana Good Meat, che qualche settimana fa ha ricevuto il via libera per la produzione e il commercio di questo prodotto anche negli Stati Uniti.

L’Italia va controcorrente
L’Italia, contrariamente a quanto stanno facendo molti altri Paesi occidentali, ha deciso di dire no alla carne coltivata, diventando la prima nazione a vietare questo prodotto, sulla base di una raccolta firme di Coldiretti che chiedeva di vietare sul nostro territorio la produzione, la commercializzazione e l’importazione di “cibi sintetici”. E a proposito di questa espressione, secondo Markus Lipp, esperto in sicurezza alimentare alla FAO, non è corretto parlare in questo caso di “carne sintentica” perché questi prodotti si basano su cellule di animali che crescono e si moltiplicano, proprio come farebbero negli animali.
Con il divieto introdotto dal Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, l’Italia non attrarrà gli investimenti fatti negli ultimi anni. Il 2021 è stato l’anno record con investimenti in carne e pesce a base cellulare da 1,3 miliardi di dollari, con un totale raccolto per l’industria di 2,78 miliardi di dollari. Nel frattempo alcune eccellenze già presenti sul nostro territorio lavorano con aziende estere.
Anche Made in Italy in questo settore
Un esempio è Solaris, un’azienda alle porte di Mantova che produce bioreattori e che vende alle startup di carne a base cellulare di Stati Uniti e Singapore. Matteo Brognoli, il direttore, pensa che il divieto sia “un peccato”, non solo per la sua azienda, ma anche per il paese, visto che quello della carne coltivata “è il futuro, soprattutto per la sostenibilità“. E la Bruno cell, l’unica startup italiana che dal 2019 lavora nel settore della carne a base cellulare insieme all’Università di Trento, ha paura di non riuscire più ad attrarre investimenti e di rimanere fuori anche dal settore della ricerca.

La carne coltivata, peraltro, è nata in Europa, in particolare in Olanda. Lo scienziato ad aver dato vita al primo hamburger coltivato, dieci anni fa, si chiama Mark Post ed è anche il fondatore di Mosa Meat, che da poco ha inaugurato – con la partecipazione di numerose autorità – quello che presto diventerà il più grande stabilimento produttivo al mondo di carne coltivata. Stabilimento che ho avuto la possibilità di visitare personalmente proprio pochi giorni fa, vedendo con i miei occhi la trasformazione in realtà di quella che un tempo era un’idea quasi fantascientifica: produrre carne senza uccidere animali.
E il governo olandese è anche tra i maggiori finanziatori di progetti relativi alla carne coltivata, parliamo di oltre 60 milioni di euro, mentre gli Stati Uniti “solo” 6 milioni di dollari e il Canada 5. Non mancano gli investimenti della stessa Unione Europea che vuole punta a modalità di produzione alimentare più sostenibili.
Coldiretti è il “padre putativo” del divieto
Secondo Coldiretti il processo di produzione di carne coltivata sarebbe insostenibile a livello ambientale, ma il suo presidente Prandini fa riferimento a uno studio dell’Università della California che ancora non è stato revisionato dalla comunità scientifica, in gergo peer-reviewed. L’errore metodologico di quello studio è valutare che in futuro una produzione di larga scala utilizzi gli stessi ingredienti purificati (costosi e impattanti) che vengono utilizzati oggi nelle ricerche di laboratorio di piccola scala. Inoltre è assodato che la produzione di carne coltivata non implica l’enorme consumo di suolo e di acqua necessario per allevare gli animali in maniera convenzionale.
Durante il servizio Prandini nega inoltre che in Italia esista l’allevamento intensivo così come in altri Paesi. Eppure ciò che abbiamo ampiamente documentato in oltre dieci anni di attività è ben diverso, soprattutto nel bacino padano. E non siamo noi a dire questo, è la realtà, e sono le statistiche e la Banca Dati Nazionale a dirlo.

Ai microfoni di Report, il ministro Francesco Lollobrigida, che risponde a pochissime delle tante domande poste da Innocenzi, afferma di aver promosso il divieto rispettando il principio di precauzione, e cioè per tutelare la salute dei cittadini. Ma è l’EFSA, l’Autorità per la sicurezza alimentare europea, a decidere sulla sicurezza dei cibi, inclusa la carne coltivata, e quindi qui è stata una pura e semplice scelta di posizione.
Il futuro? Qualora la Commissione europea decidesse in favore dell’autorizzazione, l’Italia non potrebbe vietarne l’importazione e la vendita. Quindi il divieto si potrebbe rivelare solo un modo per bloccare crescita e sviluppo della ricerca e del settore nel nostro Paese.