Lo sfruttamento del lavoro (anche) minorile nei macelli
Lavoro minorile, caporalato, straordinari non pagati e sfruttamento nell’industria della carne: ne parliamo riprendendo la seconda uscita della newsletter Animal Farm News.
Il 16 febbraio del 2022, una grossa impresa statunitense specializzata nella pulizia dei macelli ha dovuto pagare una sanzione da 1,5 milioni di dollari perché ha impiegato illegalmente più di cento minorenni. «Le violazioni del lavoro minorile erano sistemiche e si estendevano a otto stati, e indicano chiaramente un fallimento a livello aziendale da parte della Packers Sanitation Services Inc», ha affermato Jessica Looman, una responsabile del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. Poi continua: «Questi bambini non sarebbero mai dovuti essere impiegati negli impianti di confezionamento della carne e questo può accadere solo quando i datori di lavoro non si assumono la responsabilità di prevenire le violazioni del lavoro minorile».

© Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti
L’indagine federale ha svelato che i minori, soprattutto migranti, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, lavoravano anche di notte, maneggiavano prodotti chimici pericolosi e pulivano seghe e coltelli per il taglio della carne. Diversi ragazzini hanno riportato ustioni per il contatto con sostanze chimiche; si è scoperto che uno di questi, dopo che continuava ad addormentarsi in classe e saltava le lezioni, ha lavorato di notte in uno stabilimento del Nebraska dal dicembre 2021 all’aprile del 2022. JBS, Tyson Food, Cargill e tutte le più grandi ditte di macellazione e trasformazione della carne sono state coinvolte in questo scandalo.
Carenza di manodopera e poca sicurezza sul lavoro
Sembra assurdo ma nonostante il Dipartimento del Lavoro americano riscontri un aumento dell’occupazione minorile irregolare dal 2015, negli ultimi mesi i legislatori repubblicani stanno spingendo per ampliare le tipologie di lavoro consentite ai minori e aumentare le ore. Secondo la Child Labor Coalition questa forma di deregulation servirà per far fronte alla carenza di manodopera, ma al tempo stesso consentirà l’assunzione di adolescenti in ambienti di lavoro pericolosi.
Da un report diffuso negli Stati Uniti nel 2019 da Human Rights Watch che monitora le condizioni di lavoro nel settore della macellazione, un operatore finisce in ospedale o subisce mutilazione in media ogni due giorni, con tassi di infortunio e malattia significativamente più alti rispetto ad altri lavori. È innegabile che ci sia un collegamento tra l’alta velocità di produzione (450 polli macellati al minuto, 450 maiali all’ora e 120 bovini/ora, sono dati italiani) e le scarse protezioni di sicurezza.
Upton Sinclair con il suo memorabile romanzo La Giungla, edito nel 1906, è stato il primo a denunciare le pessime condizioni di lavoro negli impianti di lavorazione della carne. Attraverso le peripezie dei Rutkus, una famiglia lituana immigrata in America nei primi del Novecento, racconta lo schifo dei macelli di Chicago, gli Union Stock Yards, dove il bestiame allevato nelle Grandi Pianure veniva reso carne e spedito al resto del Paese e del Mondo.
La catena di montaggio che ispirò Henry Ford venne inventata qui: un operaio ripeteva la stessa mansione, nella stessa postazione, mentre il corpo dell’animale percorreva la disassembly line. «Montare un’auto è esattamente il contrario di smontare una mucca» raccontava il magnate dell’automobile. Ma tutta questa “matematica” causava incidenti mortali o invalidanti, malattie professionali e costringeva a orari sfiancanti. Non è un caso se il Primo Maggio, la giornata mondiale di lotta dei lavoratori e lavoratrici sia stata istituita a Chicago, proprio in quegli anni.
Invece in Europa come vengono sfruttati i lavoratori nei macelli?
Nel 2021 il Guardian ha intervistato diversi operai, funzionari ed esperti del settore, che hanno raccontato come l’industria europea della carne, che dà lavoro a un milione di persone, sia diventata un hotspot globale per la manodopera esternalizzata: una massa di lavoratori precari, molti dei quali immigrati, in migliaia retribuiti il 40/50% in meno rispetto al personale assunto.
L’utilizzo di lavoratori interinali è più diffuso nell’industria della carne europea che in qualsiasi altra parte del mondo sviluppato. Gli intermediari – come i subappaltatori, le società multiservizi, le agenzie di lavoro e le cooperative – sono incaricati di assumere e il più delle volte forniscono anche l’alloggio e il trasporto. Spesso i turni di lavoro hanno orari indefiniti mentre straordinari o malattia non vengono pagati.
I lavoratori dichiarano di vivere in uno stato di estrema insicurezza, in Paesi in cui non parlano la lingua e faticano a capire i contratti e i loro diritti. Chi di loro vive in alloggi forniti dagli intermediari ha dichiarato di sentirsi impotente e di aver paura di finire per strada se il lavoro finisce. «È un sistema di sfruttamento della povertà», afferma Volker Brüggenjürgen, Presidente dell’associazione Caritas di Gütersloh, in Germania. «Le persone vengono ingannate con la promessa di una vita migliore».
E a Modena, Verona e Cremona?
In Italia ci sono 22.000 persone impiegate nell’industria della carne: il 50% della forza lavoro nella macellazione e il 25% nella lavorazione della carne sono immigrati provenienti dall’Europa orientale, dai Balcani, dall’Africa settentrionale e centrale e dall’Asia orientale. La presenza di lavoratori stranieri negli altri settori economici è di circa il 10%. Nei macelli, generalmente, le mansioni affidate agli italiani e agli stranieri sono differenti, questi ultimi infatti svolgono i compiti «più sporchi e duri, nei reparti tripperia e frattaglie».
In Italia l’utilizzo dei sub-contractors permette alle aziende di risparmiare il 40% del costo del lavoro. Le maggiori responsabilità di questo sistema al ribasso sono da attribuire alla grande distribuzione. Come scrive Lisa Dorigatti, ricercatrice dell’Università di Milano in Ridotte all’osso. Disintegrazione verticale e condizioni di lavoro nella filiera della carne (rivista Meridiana n. 93/2018): «La GDO tende ad abbassare i prezzi al consumo e, di conseguenza, i prezzi di acquisto su tutta la filiera […] ciò fa sì che l’imperativo di riduzione dei costi al quale le aziende di macellazione e lavorazione sono sottoposte dalle pressioni che arrivano dai nodi a valle della filiera (salumifici e GDO) si scarichi soprattutto sul costo del lavoro». Man mano che si scendono le scale del grattacielo, c’è qualcuno che ci rimette sempre di più.
Sfruttamento del lavoro e caporalato
La possibilità di esternalizzare la manodopera in modo così selvaggio è stata resa possibile grazie a modifiche di legge attuate nei primi anni 2000, che hanno favorito la diffusione degli appalti in molti settori dell’economia. Appalti che vengono affidati a delle società cooperative, che di cooperativo hanno solo il nome. In pratica questa forma societaria consente di pagare meno contributi previdenziali e di assumere i dipendenti come soci-lavoratori, questo significa che la cooperativa può agire in deroga ai contratti previsti dai CCNL.
Per esempio possono dichiarare lo stato di crisi, e in questo modo abbassare il salario dei propri soci-lavoratori sotto ai minimi, non retribuire o retribuire in parte malattia e infortuni e modificare gli orari di lavoro prestabiliti. Un’altra abitudine di queste cooperative? Al primo accenno di problema giudiziario si sciolgono per poi ricostituirsi sotto altre spoglie. In questo quadro normativo, le attività di controllo sono sempre meno efficienti, avendo scelto di finanziare al minimo gli organi di vigilanza.
Nel report Le debolezze della carne curato da Altreconomia e Progetto Voci migranti, Umberto Franciosi, fino al 2022 segretario della Flai-CGIL Emilia-Romagna, parla senza mezzi termini di «nuovo e moderno caporalato, fatto di sfruttamento, ricatti, intimidazioni, costrizioni […] un caporalato evoluto, dove il reclutamento avviene per chat o sms».
L’indagine di Essere Animali su Internazionale
Qualche anno fa abbiamo raccontato per Internazionale di quella volta che ho lavorato – sotto copertura – in un allevamento intensivo, vicino a Treviso, per caricare i polli da mandare al macello. Purtroppo posso confermare di aver riscontrato tutte le problematiche che ho descritto fino ad ora. In breve:
- sono stato ingaggiato da una società multiservizi;
- dovevo lavorare fino all’1 di notte, ma abbiamo finito alle 5;
- non ho ricevuto alcun tipo di formazione;
- non mi sono stati forniti dispositivi di protezione (guanti, mascherine, scarpe) o nessuno ha controllato che li indossassi;
- non ho firmato nessun contratto e non sono stato pagato: ok che era una prova ma in ogni caso avrei dovuto essere registrato e ricevere un compenso.
Sono tre i ricordi che conservo di quella notte: polli lanciati nelle casse di carico, il dolore alle gambe del giorno dopo e quando il proprietario dell’allevamento ci ha fatto bere da un tubo di gomma congelato, a gennaio.
Un sistema sbagliato
Come analizza Francesca Grazioli in Capitalismo Carnivoro (il Saggiatore 2022) «Il processo di intensificazione e meccanizzazione della produzione ha fatto sì che tali posizioni venissero considerate sempre meno specializzate – basta schiacciare un tasto, basta fare due tagli perpendicolari, basta togliere il prosciutto dal gancio –, e che quindi perdessero valore». Un’altra definizione dell’alienazione di Marx.
Dopo qualche anno dalla pubblicazione della Giungla, un Sinclair deluso da quanto fatto dalle istituzioni per risolvere i problemi da lui denunciati, scrive: «Miravo al cuore del pubblico e ho finito per colpirlo allo stomaco». Del resto non voleva raccontare solo la storia dei mattatoi di Chicago, ma riflettere sull’intero metodo di produzione capitalista.
Quello che accade agli animali non ti piacerà. Ma per cambiare le cose, prima bisogna conoscerle.
Scopri di più