Scrofe in gabbia: le nostre immagini a #cartabianca su Rai3


Simone Montuschi
Presidente

Abbiamo accompagnato la giornalista Rosamaria Aquino in un allevamento intensivo di suini in Lombardia. Le immagini sono state trasmesse in un servizio sul programma di approfondimento #cartabianca, su Rai3, condotto da Bianca Berlinguer.

Nella puntata di ieri sera di #cartabianca sono state trasmesse delle immagini che abbiamo raccolto insieme alla giornalista Rosamaria Aquino in un allevamento lombardo con centinaia di scrofe.

Che cosa abbiamo documentato

La situazione appare sin da subito molto preoccupante: sia nel reparto gestazione che in quello dell’allattamento ci sono topi e blatte ovunque, persino nel mangime. Le gabbie in cui sono costrette a vivere le scrofe sono piccolissime, tanto che non riescono neanche a girarsi su se stesse. Le gabbie misurano circa 2 metri per 60 centimetri, con un’altezza di 80 centimetri e tutto questo è legale.

Le telecamere mostrano una scrofa con una grossa ferita sulla schiena, un’altra ha un enorme ascesso, un’altra forse un tumore. In queste condizioni, l’uso massiccio di farmaci è necessario per la loro sopravvivenza e il nostro Francesco Ceccarelli mostra alla giornalista una confezione di antibiotico contro le infezioni respiratorie. Nel reparto in cui vivono anche i cuccioli si vede che la loro coda è tagliata sistematicamente, una pratica illegale da 20 anni che avviene senza anestesia. Anche qui le condizioni degli animali sono precarie e la mortalità sembra alta.

© #cartabianca

Il nostro responsabile del team investigativo spiega poi alla giornalista che, secondo un sondaggio condotto daYouGov per noi, la maggior parte delle persone in Italia (circa 1 intervistato su 4) non è consapevole che le scrofe possano essere allevate in gabbia durante la gestazione e l’allattamento. Quasi il 65% lo considera inaccettabile.

Il dibattito alla fine del servizio

Nel dibattito che ha seguito il servizio sono intervenuti il geologo Mario Tozzi, la conduttrice TV Elisa Isoardi, il giornalista Pietro Senaldi e la scrittrice Susanna Schimperna. Tozzi ha parlato di un «orrore indescrivibile» di fronte alle immagini mostrate e ha spiegato che in Italia ci si aspetta che ci siano condizioni diverse rispetto ai grandi allevamenti intensivi americani. Eppure molti animali soffrono anche nei nostri allevamenti, nelle gabbie o durante il trasporto di animali vivi. Secondo lui il problema è l’aver allontanato la carne dalla sua origine, per cui difficilmente ricordiamo da dove viene davvero un hamburger.

Secondo Pietro Senaldi ciò che mostrano le immagini non dovrebbe essere legale e pone l’accento anche sulle problematiche legate alla salute umana per via dell’uso di antibiotici. Inoltre afferma: «Non amo la carne sintetica, ma vedendo certe scene dagli allevamenti comincio a sospettare che sia più sana di quella degli animali trattati in quel modo».

© #cartabianca

Schimperna parla invece del lavoro degli attivisti animalisti che realizzano indagini e denunciano, ma che spesso non vengono creduti o si pensa che quelle realtà siano delle eccezioni. In realtà, spiega, le cose sono proprio così come mostrano i filmati e se questo succede è perché gli animali vengono considerati alla stregua di oggetti.

Le affermazioni di Isoardi e il nostro fact checking

Sono un’eccezione

Secondo Isoardi i trattamenti visti nel servizio sono inammissibili, ma crede che le condizioni dell’allevamento mostrato siano «un’eccezione», «in regola ma su carta». Questa affermazione non è corretta. In Italia infatti sono 500 mila le scrofe allevate e oltre il 90%, come previsto e concesso dalle leggi attuali, che vive confinata per quasi metà della loro vita in gabbia. Per quanto concerne le condizioni igienico-sanitarie, in particolare la presenza di infestazioni di blatte e di topi, possiamo affermare che non si tratta di un caso isolato. In parte perché la presenza di animali infestanti è fisiologica in strutture di questo genere, in parte perché è stato ampiamente dimostrato sia da nostre inchieste e video precedenti (a partire dall’indagine appena rilasciata insieme a Selvaggia Lucarelli).

Solo per alcuni periodi per evitare di schiacciare i cuccioli

Isoardi afferma anche che «gli allevamenti di scrofe hanno la gabbia solo nel periodo di lattazione delle scrofe per impedire alla scrofa di schiacciare i cuccioli. Durante l’arco della vita le scrofe non sono in quelle gabbie». Anche questo non è corretto perché, secondo la direttiva che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (2008/120/CE) e il decreto di recepimento italiano, le scrofe possono essere allevate in gabbia per la parte iniziale della gravidanza (cioè fino a quattro settimane dopo la fecondazione) e per l’intero periodo che va da una settimana prima del parto fino allo svezzamento dei suinetti (circa 5 settimane).

Esistono, infatti, due tipi di gabbie, quelle da gestazione e quelle da allattamento, ed è solo nella fase centrale della gravidanza che devono essere allevate in gruppi. Considerando che la gravidanza di una scrofa dura 3 mesi e 3 settimane, in totale questi animali passano quasi metà della loro vita in gabbia. Per quanto riguarda il pericolo di schiacciamento dei suinetti invece, episodi di questo tipo si verificano anche con l’allevamento in gabbia, inoltre è importante uscire dalla mentalità in cui si tiene conto del benessere o della scrofa o dei suinetti. Il sistema in gabbia è stato promosso e perpetuato perché richiede meno tempo da dedicare alla cura delle scrofe e potrebbe permettere di selezionare scrofe che partoriscano più suinetti di quelli che sono in grado di allattare, a discapito del benessere di scrofe e suinetti.

Ci sono leggi per l’ampliamento delle gabbie

Infine afferma che in Italia «ci sono leggi anche sull’ampliamento delle gabbie: si sono impegnati ad allargare le gabbie per il benessere animale, perché quello che abbiamo visto non è legale». Questa affermazione probabilmente fa riferimento, in modo scorretto e ingannevole, a quanto indicato dalla Direttiva 2008/120/CE, che appunto ha introdotto un divieto parziale dell’uso delle gabbie da gestazione per le scrofe e che richiede che nella parte centrale della gravidanza, compresa tra le 4 settimane dopo la fecondazione e una settimana prima del parto, vengano allevate in gruppi.

Ciononostante, è fuorviante e non veritiero affermare che sono stati introdotti per legge vietando l’uso di gabbie o imponendo per legge gabbie più larghe. Secondo quanto riporta EFSA (2022) e quanto dichiarato anche dalla Commissione UE, le gabbie non sono compatibili con il benessere animale e pertanto vanno vietate a prescindere dalla loro grandezza, sostituendole con metodi di allevamento differenti, come recinti con una grandezza minima per parto e allattamento e stabulazione libera durante tutta la gravidanza, che permettano a scrofe e suinetti di esprimere i loro comportamenti naturali e interagire più liberamente.