Il recente caso tra i visoni in un allevamento in Spagna preoccupa l’OMS (?) OMS L’Organizzazione Mondiale della Sanità, istituita nel 1948, è l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie. e gli esperti. Abbiamo chiesto un commento a Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria e a Ernesto Burgio, medico ed esperto in epigenetica e biologia molecolare.
Poche settimane fa è stata data notizia di un focolaio di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità rilevato in un allevamento intensivo di visoni in Galizia, Spagna. In questo articolo, abbiamo spiegato di come la notizia abbia allarmato gli esperti, che hanno definito l’episodio «estremamente preoccupante».
Secondo uno studio, sarebbe il primo caso di H5N1 negli allevamenti di visoni in Europa. Inoltre potrebbe essere la prima volta in cui il contagio tra mammiferi avviene non per contatto diretto con animali infetti — ad esempio nel caso di animali che ingeriscono escrementi o si cibano di uccelli infetti dal virus — ma tra animali, da visone a visone.
Aviaria e rischi per la salute pubblica
Il focolaio negli allevamenti di visoni in Spagna, secondo Hualan Chen, un virologo dell’Istituto di ricerca veterinaria di Harbin in Cina, rappresenta un rischio maggiore per la salute pubblica, perché testimonia il fatto che il virus sta cambiando. E quello che bisognerebbe cercare di evitare a tutti i costi è che il virus acquisisca la capacità di trasmettersi tra esseri umani, soprattutto perché il suo tasso di letalità è altissimo.
Secondo i dati della World Health Organization, dal 2003 a fine 2022, i casi di influenza aviaria H5N1 negli esseri umani sono stati oltre 860 in tutto il mondo, di cui oltre la metà sono morte proprio a causa del virus. Questo dà un’idea di quanto devastante potrebbe essere un’epidemia di questo virus nel caso acquisisse la capacità di trasmettersi nella popolazione umana. Attualmente, infatti, non è disponibile un vaccino per la protezione contro l’influenza aviaria negli umani. L’OMS raccomanda a tutte le persone che lavorano negli allevamenti di sottoporsi a una vaccinazione contro l’influenza stagionale per ridurre il rischio di un riassortimento del virus.
Il focolaio in Spagna: le parole di Calogero Terregino
A proposito del focolaio nei visoni in Spagna, il dott. Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria, ci ha spiegato: «Il caso nei visoni ha destato molta preoccupazione perché non si sapeva se il virus responsabile di questo focolaio avesse acquisito delle caratteristiche tali da renderlo particolarmente pericoloso anche per la popolazione umana. Questo caso rappresenta un ulteriore conferma di come i virus H5N1 di questo clade (2.3.4.4b), che si stanno diffondendo in tutto il mondo tramite gli uccelli selvatici migratori, abbiano la capacità di fare salti di specie, infettando ogni giorno nuove specie di uccelli selvatici e passando sempre più frequentemente dai volatili ai mammiferi».
«Inoltre, come per il recente focolaio nei leoni marini in Perù, nel caso dei visoni spagnoli c’è stato il forte sospetto che ci sia stata trasmissione virale da un soggetto all’altro, il che poteva significare un ulteriore adattamento del virus aviario ai mammiferi». Nonostante questo, aggiunge, «Centri di ricerca in Europa e negli USA hanno caratterizzato questi virus e non hanno trovato evidenze che indichino una maggiore capacità di diffondersi tra gli esseri umani».
Spiega inoltre che le evidenze dimostrano che «i visoni sono molto più suscettibili all’infezione da virus H5N1 rispetto alle persone, dunque non è detto che un virus che circola attivamente nei visoni può agevolmente infettare un essere umano. A testimonianza di ciò, nessun uomo che lavorava nell’allevamento dei visoni spagnoli ha manifestato sintomi sospetti o è risultato positivo a virus influenzali». E conclude: «Al momento non risulta che questi virus abbiano la capacità di infettare facilmente il tratto respiratorio superiore umano, caratteristica necessaria per aumentare il rischio di trasmissione alle persone».
Il problema dei selvatici: le parole di Ernesto Burgio
Oltre a visoni e leoni marini, in Europa e nelle Americhe l’elenco dei mammiferi che hanno contratto il virus — secondo quanto documentato finora — include: foche, tasso, orso nero, lince rossa, coyote, delfino, furetto, gatto pescatore, volpe, leopardo, lince, opossum, lontra, maiale, puzzola, focena, procione, cane procione. Per quanto riguarda i volatili dall’ottobre del 2021 a oggi, oltre 140 milioni di polli, galline e tacchini negli allevamenti intensivi sono morti o uccisi preventivamente per limitare il propagarsi dell’epidemia. Il virus è stato rilevato inoltre in anatre, oche, gabbiani, pellicani, cigni, avvoltoi, corvi, gufi, aquile e molte altre specie di uccelli selvatici.
Per quanto riguarda gli uccelli selvatici, abbiamo contattato il dottor Burgio, medico pediatra ed esperto in epigenetica e biologia molecolare, per un commento. «Desta preoccupazione l’ennesimo rilevamento di volatili selvatici deceduti a causa del virus» ha affermato, «come la notizia di alcuni cigni trovati morti a causa del virus nella laguna di Marano. Ormai è evidente che oltre alle decine di rilevamenti di virus aviari potenzialmente pandemici negli allevamenti intensivi, per definizione controllabili (il che non significa che non ci sia un pericolo immanente di salto di specie e di fuoriuscita dei temuti virus), ceppi e sottotipi altamente patogeni circolano tra gli uccelli migratori e possono trasmettersi, in particolare attraverso le feci, sia alla fauna libera che a quella di allevamento».
Ha poi continuato: «I volatili e in particolare gli uccelli migratori sono il serbatoio naturale dei virus aviari, questo significa che per millenni c’è stato un equilibrio tra i volatili e i virus. Il fatto che da una ventina di anni vengano segnalati casi di volatili morti e addirittura di intere colonie di uccelli migratori morti per H5N1, stupisce e preoccupa perché significa che si è rotto un equilibrio biologico di lungo periodo». Infine ha concluso: «Inoltre, seppure possiamo comprendere le cautele delle nostre istituzioni di tutela ambientale e sanitaria nel commentare questi eventi, dobbiamo affermare con chiarezza che i rischi di salto di specie e quindi di trasmissione all’uomo aumentano in proporzione alla circolazione del virus stesso tra territori distanti».