Nuova inchiesta di Report sui polli: è tempo di cambiare il sistema di produzione 

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Nuova inchiesta di Report sui polli: è tempo di cambiare il sistema di produzione 


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Chiara Caprio
Responsabile relazioni istituzionali

Il servizio di Giulia Innocenzi su Report ha toccato diversi temi caldi che negli ultimi mesi hanno riguardato non solo le aziende produttrici, ma anche la grande distribuzione organizzata, che chiede sempre più carne di pollo, sempre più in fretta e a prezzi sempre più bassi. E il prezzo che stiamo pagando in questi ultimi mesi è quello del proliferare di una nuova epidemia, quella dell’aviaria H5N1. 

Ci sono i trattati europei a dirlo, ma c’è anche la recente riforma che ha introdotto la tutela di ambiente e animali in Costituzione: gli animali sono esseri senzienti e per questo meritano tutela e rispetto. 

Eppure, non manca giorno che dalla produzione animale arrivino notizie sconcertanti, come quelle che emergono in questi giorni dopo la messa in onda da parte di Report di immagini che, ancora una volta, mostrano le problematiche degli allevamenti intensivi, in particolar modo della produzione di carne di pollo, e il ruolo delle grandi aziende nel sistema di produzione agroalimentare. 

Il pericolo dell’aviaria è legato agli allevamenti intensivi

L’Italia è uno dei Paesi più colpiti da questa epidemia: secondo quanto racconta Giulia Innocenzi, a causa di questa malattia in Europa sono stati abbattuti nell’ultimo anno 48 milioni di polli e l’Italia è il secondo paese per contagi negli allevamenti. 

Nel servizio di Report sono state mostrate anche le immagini raccolte dal nostro responsabile investigazioni Francesco Ceccarelli, che ha filmato con un drone l’abbattimento di un allevamento per influenza aviaria in Veneto, la regione d’Italia con il più alto numero di focolai. Dalle immagini di Essere Animali si vedono i polli che vengono raccolti con una ruspa e scaricati all’interno di grandi container. 

Le stesse immagini sono state pubblicate lo scorso mese dal quotidiano The Guardian in un articolo dedicato alla pandemia di influenza aviaria che sta provocando la morte di decine di milioni di animali in tutto il mondo. Non solo: le stesse immagini sono andate in onda a settembre su Rai 3 in una puntata del programma di approfondimento Indovina chi viene a cena di Sabrina Giannini.

Come spiega David Quammen, l’aviaria è il virus candidato a provocare la prossima pandemia, perché «per via del passaggio della malattia dagli uccelli selvatici a polli, tacchini e anatre, il virus muta e quindi aumentano le possibilità che infetti l’uomo in una forma violenta. Questo virus è potenzialmente il più pericoloso. Abbiamo 26 miliardi di polli sul Pianeta in questo momento: se andiamo avanti così finiremo nei guai. Trattiamo il mondo come se esistesse solo per soddisfare i nostri piaceri, ma il problema è che le persone che vivono nei paesi più ricchi mangiano più carne del necessario e quella carne è prodotta in mega allevamenti intensivi». E i polli sono proprio gli animali terrestri più allevati e sfruttati in assoluto.

Polli broiler: veri e propri prigionieri del loro stesso corpo 

Ogni anno sono 73 miliardi i polli macellati (dati FAO), 200 milioni al giorno, 2314 al secondo. Solo in Italia ne vengono macellati più di 500 milioni ogni anno, spesso uccisi quando sono ancora dei pulcini molto cresciuti, a 35-45 giorni di vita, passati all’interno di grandi capannoni insieme a decine di migliaia di altri animali. Quasi sempre si tratta dei cosiddetti “broiler” a rapido accrescimento, razze selezionate per la resa di carne a discapito della salute e del benessere di questi animali, con lo scopo principale di soddisfare le necessità delle grandi catene di supermercati e di ristorazione.

L’inchiesta di Report si concentra su Fileni, terzo produttore di carne di pollo in Italia dopo AIA e Amadori, che ogni anno alleva 50 milioni di polli all’interno di allevamenti convenzionali e biologici. Tuttavia, diverse problematiche evidenziate nel servizio non rappresentano un caso isolato di un unico produttore, ma una realtà quotidiana nella quasi totalità degli allevamenti italiani di polli. 

Mortalità alta negli allevamenti

Dalle immagini si vedono animali morti che giacciono abbandonati insieme ai compagni ancora vivi, in violazione di quanto invece prescritto dalle norme che prevedono il controllo della struttura da parte degli operatori almeno due volte al giorno, proprio per verificare le condizioni degli animali mortalità e, se necessario, rimuovere i corpi di quelli morti. Alcuni documenti presentati da Giulia Innocenzi nel servizio riportano anche un alto tasso di animali deceduti o abbattuti all’interno degli allevamenti analizzati, un elemento ricorrente dell’industria che alleva polli per il consumo umano in maniera sistemica, sia in Italia che all’estero. Si tratta di immagini e documenti che non devono far riflettere solo sullo sfruttamento eccessivo degli animali, ma anche sui ritmi folli imposti agli operatori stessi. 

Secondo quanto riportato da un articolo scientifico pubblicato nel 2020 su Animals, la mortalità negli allevamenti di polli in Italia potrebbe aggirarsi intorno al 4%, per un totale di oltre 21 milioni di animali che ogni anno muoiono prima di arrivare al macello. E si tratta molto probabilmente di una sottostima, che non tiene conto delle morti che avvengono durante le fasi di trasporto e al macello. 

Ma perché negli allevamenti di polli la mortalità è così alta? La risposta risiede nella  richiesta crescente da parte dell’industria e dei supermercati di produrre sempre più carne a costi sempre minori, inducendo anche con campagne di comunicazione un aumento della richiesta da parte dei consumatori, ormai convinti che le proteine del pollo siano quelle più magre, sane ed economiche. 

Selezione genetica

Per rispondere a questa logica, negli anni gli animali sono stati selezionati geneticamente con lo scopo di sviluppare molto velocemente e in maniera sproporzionata petto e cosce enormi, in modo da poterli poi utilizzare più facilmente per il prodotto finito.

Un pollo all’interno di un allevamento intensivo sdraiato a terra impossibilitato ad alzarsi sulle zampe.
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Questo processo di selezione genetica estrema è stato condotto nell’arco di poche decine di anni da parte dell’industria, senza che però fossero tenute in considerazione le conseguenze sulla salute e sul benessere di questi delicati animali. I polli broiler a rapido accrescimento, infatti, tendono ad avere difese immunitarie più deboli e a sviluppare più facilmente problematiche cardiocircolatorie e respiratorie, e spesso soffrono di gravi problemi di movimento per via dello sviluppo non proporzionato tra muscolatura, organi e scheletro

Che cosa chiediamo per mettere fine a tutto questo 

Solo in Italia sono centinaia di milioni i polli che vivono in queste condizioni e come Essere Animali non possiamo che lavorare per ridurre il più possibile le sofferenze di questi animali. Ma per farlo non basta sensibilizzare il pubblico verso scelte alimentari più compassionevoli, per agire subito per questi animali è fondamentale che anche le aziende abbiano un ruolo attivo nel cambiamento e si impegnino a eliminare almeno le pratiche peggiori degli attuali sistemi produttivi. 

Supermercati, ristorazione e aziende alimentari possono fare molto per quegli animali che oggi sono ancora confinati in macelli e allevamenti ed è fondamentale che anche per i polli vengano messe in campo delle politiche adeguate ad affrontare realmente le problematiche gravissime che si riscontrano nei sistemi di allevamento intensivo. 

Per questo motivo, decine di organizzazioni per la protezione degli animali, tra cui noi di Essere Animali, hanno deciso di formulare una serie di indicazioni fondamentali, che indicano quelli che sono gli standard minimi accettabili per i polli allevati a scopo alimentare. Si tratta di standard superiori ai minimi di legge attualmente in vigore in Italia e in Europa, a dimostrazione di quanto le norme correnti siano del tutto inadeguate a rispondere ai reali bisogni minimi dei polli. 

In altre parole: lo European Chicken Commitment

Con lo European Chicken Commitment chiediamo che le aziende si impegnino a ridurre drasticamente le sofferenze dei polli entro il 2026, attraverso la riduzione della densità di allevamento, il miglioramento degli standard ambientali, l’adozione di pratiche di stordimento migliori e, soprattutto, l’abbandono delle razze a rapido accrescimento con il passaggio a quelle a più lento accrescimento, un requisito imprescindibile per poter parlare di miglior benessere animale. 

In aggiunta, l’ECC prevede anche che vengano effettuati controlli da parte di enti terzi all’interno degli allevamenti, con una reportistica annuale pubblica che indichi progressi e stato di transizione dell’impegno. È fondamentale che, oltre a questi controlli e a quelli delle autorità pubbliche preposte, il percorso sia accompagnato anche da un’etichetta chiara, riconoscimento che trasmetta in modo semplice ai consumatori  la differenza tra un pollo allevato seguendo gli standard migliorativi dell’ECC e uno da allevamenti intensivi.

La campagna #LidlChickenScandal

Tutte queste richieste sono attualmente sul tavolo della leadership di Lidl, sia in Europa sia in Italia, dove insieme a tante altre organizzazioni stiamo chiedendo loro di dimostrare nei fatti di volersi impegnare realmente a favore del benessere animale. Lidl è un vero e proprio gigante del discount, presente in Italia con oltre 700 supermercati e migliaia di punti vendita in tutto il mondo, per questo le loro scelte possono davvero fare la differenza per milioni di animali.

Attiviste davanti alla Direzione Generale di Lidl Italia.
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In Italia, ad oggi come supermercati solo Eataly, Cortilia e Carrefour hanno deciso di aderire all’ECC, dimostrando di aver compreso che anche per l’industria che produce carne di pollo è tempo di cambiare. Le immagini andate in onda su Rai 3 grazie alla redazione di Report e a Giulia Innocenzi, infatti, mostrano sicuramente gravi criticità e maltrattamenti che non possono essere tollerati e che per questo vanno affrontati tempestivamente.

Ma bisogna affrontare un tema ben più grande e che va oltre il singolo produttore: le crudeltà e le sofferenze dei polli nell’industria agroalimentare sono sistemiche, frutto di leggi e disciplinari ormai arcaici e purtroppo spesso impunite e sconosciute ai consumatori, che si affidano troppo facilmente alle pubblicità e a etichette poco chiare, come quelle “allevato senza antibiotici”. È ora che l’intero comparto in Italia faccia un passo avanti nella direzione tracciata da decine di supermercati e produttori in tutta Europa, per una riduzione delle sofferenze degli animali non solo doverosa ma ormai richiesta a gran voce da milioni di cittadini europei.


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