Ancora troppi antibiotici negli allevamenti italiani
Pur notando alcuni miglioramenti registrati in questi anni, nel 2021 ancora più della metà degli antibiotici totali venduti in Italia è stato usato negli allevamenti, un dato superiore a quello della media europea.
Sono stati pubblicati qualche giorno fa i dati aggiornati al 2021 del report ESVAC sulla vendita di antibiotici a scopo zootecnico in 31 Paesi europei. Purtroppo, nonostante una complessiva riduzione registrata negli ultimi 5 anni, l’Italia continua a non fare bella figura e rimane il terzo paese in Europa per consumo di antibiotici in allevamento. Pur notando alcuni miglioramenti registrati in questi anni, nel 2021 ancora più della metà degli antibiotici totali venduti in Italia è stato usato negli allevamenti, un dato superiore a quello della media europea.
Oltre a essere un indicatore indiretto delle condizioni in cui vivono gli animali — generalmente animali che vivono in ambienti migliori si ammalano meno —, l’uso di antibiotici negli allevamenti riveste un’importanza cruciale anche per la salute umana. Il suo impiego, infatti, è una delle cause principali di diffusione dell’antibiotico resistenza, vale a dire della perdita di efficacia di questi farmaci.

Quanto ne consumiamo esattamente?
Dopo Cipro e Polonia, in terza posizione della classifica negativa di chi usa più antibiotici in zootecnia troviamo l’Italia, con un consumo che è più del doppio della media europea: quasi 2,5 volte maggiore di quello della Germania e quasi 3,5 volte quello dei nostri vicini francesi.
È sicuramente positivo osservare il trend di riduzione registrato in questi ultimi 10 anni, che ha portato gli allevamenti del nostro Paese a ridurre del 53% il consumo di antibiotici. Purtroppo, però, anche in questo caso se confrontiamo il nostro andamento con quello dei Paesi limitrofi paragonabili in termini di produzione zootecnica, il dato non è più così rinfrancante.
Infatti, nonostante i livelli di consumo di antibiotici di Francia e Germania fossero notevolmente inferiori a quelli dell’Italia già nel 2011 (un aspetto che dovrebbe teoricamente rendere più difficile ridurli ulteriormente), negli ultimi 10 anni questi due Paesi sono riusciti a registrare un trend di diminuzione migliore del nostro. Si parla di una riduzione del 55% per la Francia e addirittura del 65% per la Germania. Anche guardando alla Spagna si ha l’impressione che l’Italia fatichi un po’ di più di altri stati membri: anche se negli ultimi 10 anni la riduzione percentuale dell’uso di antibiotici nei due Paesi è stata pressoché identica, negli ultimi 5 anni la Spagna ha allungato il passo, diminuendo l’uso in modo più efficace rispetto all’Italia (57% vs. 41%) e scendendo più in basso del nostro Paese nella classifica generale che ci vede ora al terzo posto.

Per quali scopi utilizziamo gli antibiotici
Il 28 gennaio di quest’anno è entrato in vigore il nuovo Regolamento (UE) 2019/6 sull’uso responsabile degli antibiotici negli allevamenti che vieta i trattamenti di massa a scopo preventivo. Eppure, guardando gli ultimi dati ESVAC sulla tipologia di somministrazione degli antibiotici appare evidente che molto lavoro resta ancora da fare.
A seconda della tipologia di somministrazione, infatti, è lecito presumere per quale tipo di trattamento, individuale o di gruppo, ogni antibiotico è stato impiegato: ad esempio, quando gli antibiotici vengono somministrati in forma iniettabile, siamo davanti a un trattamento effettuato sul singolo animale, mentre tutte quelle forme che hanno bisogno di essere sciolte in acqua o nei mangimi, sono impiegate per trattamenti di gruppo, generalmente effettuati a scopo preventivo. A livello europeo, nel 2021 l’86% degli antibiotici impiegati negli allevamenti è stato utilizzato prevalentemente per trattamenti di massa, mentre in Italia il dato è ancora più preoccupante attestandosi a oltre il 90%.
Che cosa vogliono dire questi dati?
Nel nostro Paese ormai da diversi anni si trovano in commercio prodotti che vantano in etichetta l’assenza di trattamenti antibiotici in allevamento. Ma se proviamo a calare i dati ESVAC nel contesto italiano appare evidente come le strategie attuate finora, tra cui proprio il “senza antibiotico”, non siano state in grado di fornire una risposta adeguata alla dimensione del problema. L’Italia continua infatti a essere uno dei Paesi peggiori in tema di uso di antibiotici in zootecnia, con un’altissima percentuale di trattamenti di massa a scopo preventivo.

Come indicato da vari organismi internazionali, tra cui l’OIE, l’unica strategia per tutelare l’efficacia degli antibiotici in futuro è quella dell’utilizzo responsabile: trattare solo gli animali malati, monitorare in modo puntuale quanti e quali antibiotici vengono impiegati e sviluppare dei piani di riduzione che vadano di pari passo con il miglioramento delle condizioni di allevamento. Un aspetto su cui poche, se non addirittura quasi nessuna, delle comunicazioni fatte dalle aziende si focalizza.
A parte alcuni vaghi riferimenti a un generico “benessere animale in allevamento”, è quasi impossibile riuscire a capire come ha davvero vissuto un animale: quanto spazio aveva, se ha vissuto in gabbia, se ha subito mutilazioni, se ha potuto esprimere i propri comportamenti naturali e così via. Se vogliamo scongiurare il pericolo di entrare in un’era post-antibiotica, è quanto mai cruciale lavorare su piani di miglioramento fatti di strategie concrete e realmente sostenibili, accantonando fin da subito quelle azioni di dubbia efficacia che hanno l’unico vantaggio di essere facilmente spendibili in etichetta.