L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha realizzato uno studio per cercare di capire perché i consumi di carne di coniglio stiano calando anno dopo anno.
Nel novembre del 2019 il presidente di Confagricoltura Veneto, Lodovico Giustiniani, ha lanciato un allarme: in cinque anni gli allevamenti di conigli nel trevigiano, provincia leader per questa attività, sono scesi da 100 a 40. Uno dei motivi principali è il mutato atteggiamento dei consumatori verso animali ormai tenuti in casa come fossero cani o gatti.
Qualche mese dopo, l’ente nazionale pubblico che si occupa di salute animale e sicurezza alimentare, l’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, ha avviato una ricerca per indagare le conoscenze e le percezioni che i consumatori hanno su produzione, consumo e benessere dei conigli negli allevamenti.
Lo studio, pubblicato ad aprile di quest’anno, fornisce informazioni utili ai produttori di carne di coniglio per migliorare le loro strategie di marketing, si legge nell’abstract. Uno strumento quindi, che punta a risollevare un settore in crisi che nell’ultimo decennio ha avuto una contrazione della produzione nazionale del 32%, con un calo di 8 milioni del numero di capi macellati rispetto al 2010. Dagli ultimi dati Istat, nel 2020 i conigli macellati sono stati 16,5 milioni.
I risultati della ricerca
I dati raccolti confermano un basso consumo di carne di coniglio in Italia: il 30% di chi ha partecipato alla ricerca non la consuma. Tra chi lo fa, il 45% la mangia raramente e il 41% ogni tanto. La percezione del coniglio come animale da compagnia, nuovi stili di vita e il cambiamento delle abitudini alimentari sono tra le principali cause che orientano questa tendenza.

Il supermercato è il principale luogo dove i consumatori acquistano carne di coniglio (60%), seguito dalle macellerie (28%). Solo lo 0,2% la acquista online.
Gli intervistati si dichiarano favorevoli a pagare un prezzo leggermente più elevato qualora venissero garantite “misure per la riduzione dell’uso di antibiotici” (70%), “misure rivolte a ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti” (57%), “misure per l’adozione di sistemi di allevamento alternativi rispetto a quello intensivo” (55%) e per l’implementazione di “condizioni che tutelino il benessere dell’animale” (50%). L’allevamento rurale/domestico è considerato come una tipologia in cui è possibile applicare misure di benessere animale che migliorano la qualità organolettica e la sicurezza della carne.
L’allevamento in gabbia è la regola
Circa un terzo degli intervistati non è a conoscenza di come siano allevati i conigli. Chi è informato, identifica la gabbia come il metodo principale di allevamento, descrivendola come piccola e inadatta alla crescita e al movimento degli animali, associandola inoltre all’uso di mangimi industriali e abuso di antibiotici. Alla domanda se l’uso delle gabbie sia un metodo compatibile con il benessere animale, solo il 7% ha risposto positivamente, mentre il 65% ha affermato di no e il resto “non so”.
Guarda il video della nostra ultima indagine
Gli intervistati hanno dichiarato che il loro interesse per i metodi di allevamento è aumentato negli ultimi anni. Per i consumatori è importante che il coniglio “sia stato allevato con un uso responsabile degli antibiotici”, “che abbia un bell’aspetto”, “che sia stato allevato senza sofferenze”. La maggior parte di chi acquista carne di coniglio cerca informazioni sul sistema di allevamento in etichetta o chiedendo direttamente al venditore, il 28% non cerca informazioni.

Le nostre campagne, anche, per i conigli
Questa ricerca, così come il lavoro di organizzazioni come la nostra, mette in risalto principalmente due problematiche che preoccupano i consumatori: l’utilizzo delle gabbie e la mancanza di trasparenza delle informazioni riportate in etichetta. Due importanti tematiche in cui ci stiamo battendo, con delle campagne di pressione dedicate.
La prima: End The Cage Age, una campagna portata avanti insieme alle più importanti associazioni per i diritti animali italiane che ha l’obiettivo di non far cadere nel vuoto la decisione della Commissione europea che, a giugno 2021, ha annunciato l’intenzione di eliminare gradualmente l’uso delle gabbie negli allevamenti di tutta Europa.

© Selene Magnolia / Essere Animali
La seconda: Bugie in Etichetta, una campagna portata avanti da una coalizione di organizzazioni italiane che si oppone alla certificazione nazionale volontaria sul benessere animale. Insieme alla coalizione stiamo chiedendo di rivedere la certificazione ministeriale che prevederebbe di etichettare come “benessere animale” prodotti provenienti da allevamenti intensivi, con pratiche ai margini degli standard minimi di legge. promuovendo un inganno che andrà a discapito di animali, cittadini e ambiente.
È sempre più evidente come la politica sia distaccata dalla realtà. Se, da una parte, le persone hanno una percezione diversa degli animali rispetto al passato e stanno cambiando le proprie abitudini alimentari, dall’altra, le istituzioni non si dimostrano al passo dei tempi. È ora che questi temi entrino nell’agenda politica e che i nostri governanti attuino misure concrete per cambiare lo stato delle cose.