L’allevamento intensivo contribuisce alla fame nel mondo?


Maria Mancuso
Web content editor

Senza semplificare un tema così delicato e complesso, in questo articolo spieghiamo perché un’alimentazione vegetale è capace, da un lato, di sfamare più persone e, dall’altro, di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, uno dei fattori che alimentano la fame nel mondo.

Immaginate di avere a disposizione una certa quantità di cibo e di buttarne nella spazzatura, ogni giorno, oltre la metà. Non lo fareste mai, vero? Eppure è lo stesso meccanismo che sta alla base della produzione di carne, latte e uova e che viene considerato accettabile dalla nostra società. Badate bene, non stiamo parlando di spreco alimentare evidente — che è indubbiamente un altro problema urgente e che abbiamo in parte affrontato qui. Ci riferiamo a ciò che succede quando vengono allevati animali nutriti con cibo perfettamente commestibile per gli esseri umani — ne parla ad esempio Menkay, content creator e relatore per i diritti degli animali, in questo video.

Gli animali negli allevamenti mangiano cibo adatto a noi

Ogni animale, per vivere, ha bisogno di una quantità variabile di energia che assorbe dal cibo che mangia. Nel caso di maiali e polli allevati intensivamente ad esempio, la maggior parte delle calorie di cui si nutrono derivano da mangimi che contengono cereali e legumi che si trovano anche sulle nostre tavole: soia, mais, orzo, avena, frumento… 

Lo stesso accade per molti ruminanti, fatta eccezione per quelli allevati al pascolo e nutriti con erba e fieno, che, tuttavia, occupano terreni che potrebbero essere altrimenti impiegati per produrre vegetali per gli esseri umani, o, ancora meglio, lasciati incolti. Diversi studi, infatti, sottolineano quanto sia importante, di fronte alla crisi climatica, convertire più terreni possibili in foreste che catturano CO2 e habitat intatti per altre specie animali  e vegetali a rischio di estinzione. 

Al contrario, quello che il settore zootecnico fa è deforestare ampie zone del Pianeta — ad esempio per la produzione di soia — oppure occupare terreni agricoli fertili per produrre cibo per animali che vengono poi macellati e consumati da una porzione ridotta della popolazione mondiale, innanzitutto quella ricca. 

Mentre impiega enormi quantità di acqua, cibo e terreni, infatti, la produzione di proteine animali provvede solo al 18% del fabbisogno calorico mondiale e al 37% delle proteine. O in altre parole: mentre in vaste aree del Pianeta milioni di persone soffrono o sono a rischio di soffrire la fame, i Paesi occidentali ingrassano miliardi di animali tra mammiferi, avicoli e pesci che vengono alimentati con cereali e legumi che potrebbero direttamente sfamare gli esseri umani.

Campo agricolo di mais
La maggior parte del mais prodotto in Italia finisce nelle mangiatoie degli allevamenti intensivi. Un cereale che peraltro consuma ingenti quantità di acqua.
© Stock

La zootecnia rende il nostro Pianeta inabitabile

Oltre a sollevare questioni di natura etica, la zootecnia causa, come abbiamo già anticipato, problemi ambientali molto gravi. Produrre carne contribuisce alla deforestazione e all’emissione di gas serra prima di tutto, ma produce anche ammoniaca, azoto, inquina fonti idriche, il suolo, e altera gli ecosistemi: in altre parole è uno dei fattori del cambiamento climatico che rende il nostro Pianeta meno abitabile.

La crisi climatica non fa altro che spingere sempre più persone ad abbandonare il proprio Paese, rendendoli rifugiati climatici. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre gli sfollati a causa di disastri ambientali ogni anno sono 25 milioni, una cifra tre volte superiore alle persone che abbandonano la propria casa a causa di conflitti e violenze.

A pagare il prezzo più alto anche in questo caso sono soprattutto i Paesi del Sud globale, che storicamente hanno contribuito meno o per nulla alla crisi climatica, ma sempre di più anche quelli del Nord globale — in Italia dall’inizio dell’anno sono stati 1567 gli eventi estremi, tra nubifragi, tornado, tempeste di vento, grandinate e ondate di calore. E questo ha un impatto devastante anche sull’agricoltura.

Secondo l’IPCC, se anche riuscissimo a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,6°C entro il 2100, l’8% dei terreni che oggi sono dedicati all’agricoltura diventerà “climaticamente” inadatto. Senza azioni di adattamento ai cambiamenti climatici si prevede che 183 milioni di persone in più soffriranno la fame entro il 2050, tra soli 28 anni.

L’allarme degli scienziati e il conflitto in Ucraina

La risposta ci arriva non solo dalle associazioni per i diritti degli animali come la nostra, ma da 400 scienziati che a marzo di quest’anno hanno firmato una lettera aperta indirizzata all’UE per chiedere di accelerare il passaggio all’alimentazione vegetale, combattere lo spreco alimentare e ridurre la dipendenza dai fertilizzanti azotati e dal gas naturale provenienti dalla Russia.

Come raccontavamo in un altro articolo, difatti, le ripercussioni dell’attuale conflitto in Ucraina stanno colpendo duramente vari settori dell’economia globale, incluso quello alimentare e, con esso, quello zootecnico. Grano tenero e mais provenienti dall’Ucraina sono ampiamente utilizzati anche per l’alimentazione di polli, galline e altri animali da allevamento e questo ha determinato la corsa all’acquisto delle materie prime anche per il consumo animale oltre che quello umano.

Secondo gli esperti, l’invasione russa dell’Ucraina — nonché la speculazione finanziaria — vuol dire meno cibo in Egitto, Libano, Libia, Sudan, Siria, Yemen e altri Paesi S.W.A.N.A. (un acronimo che sta per Asia del sud-ovest e Nord Africa).  A questo proposito, Marco Springmann dell’Università di Oxford, ha affermato: «mangiare più piante invece della carne potrebbe rendere disponibile una quantità maggiore di cibo a livello globale. Possiamo e dovremmo reagire alla crisi a breve termine in modi adatti anche ad affrontare le crisi a lungo termine del sistema alimentare mondiale».

Bisogna cambiare

Non possiamo più permetterci di garantire la sopravvivenza di un sistema alimentare basato sulla sofferenza degli animali, la distruzione del Pianeta e la penuria di risorse alimentari per milioni di persone.

Un’alimentazione basata sul consumo di cereali, legumi, verdura e frutta non è migliore soltanto dal punto di vista nutrizionale, ma anche etico e ambientale. È ora che chi ne ha il potere promuova la produzione di cibo sano e sostenibile per tutte e tutti, assicurandosi che nessuno soffra più la fame.

È necessario rivedere la nostra alimentazione per tutelare e salvaguardare gli animali e per mettere al sicuro la salute globale. Scopri come farlo al meglio!