A tu per tu con Jonathan Safran Foer: la nostra intervista
Poter parlare di crisi climatica, allevamenti intensivi e con un autore del calibro di Jonathan Safran Foer è stato un privilegio. Prima della pandemia abbiamo avuto il piacere di incontrarlo durante la presentazione del suo libro Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Foer, puoi raccontarci perché il nostro sistema alimentare, in particolare il consumo di carne, è una delle cause principali della crisi climatica in corso?
L’allevamento intensivo è responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra. È davvero difficile calcolare il numero esatto di queste emissioni perché ci sono diversi fattori che intercorrono e quando provi a calcolarle realizzi che ci sono diverse ipotesi. Per esempio quando parliamo di carne, parliamo solo del metano che viene prodotto dagli animali? Oppure includiamo l’anidride carbonica che viene rilasciata quando le foreste vengono distrutte per fare spazio al pascolo e alle coltivazioni per sfamare gli animali? Consideriamo le emissioni di anidride carbonica che gli alberi tagliati avrebbero assorbito se gli avessimo permesso di vivere come foreste? In ogni caso, ciò su cui tutti sono d’accordo — anche gli scienziati più conservatori — è che non abbiamo speranza di salvare il Pianeta se non iniziamo a mangiare molta meno carne.
Anche se non bastano le azioni dei singoli, tu parli nel tuo libro che più che mai in questo momento è necessario ridurre i consumi di carne e derivati. Secondo te come si può sperare che centinaia di milioni di persone modifichino abitudini consolidate da una vita da sole?
Non so come ci si possa aspettare, realisticamente, che centinaia di milioni di persone cambino, ma un buon punto di partenza potrebbe essere chiedersi come possiamo sperare che una persona cambi. E prima di tutto penso sia giusto ammettere che il cambiamento può essere difficile. Qualche volta è molto semplice, conosco molte persone che hanno smesso di mangiare carne da un giorno all’altro in modo facile e senza pentirsi. Ma ci sono persone che hanno bisogno di un lungo periodo, ce ne sono altre persone che iniziano e poi si fermano e poi ricominciano, altre persone ancora trovano una soluzione nel compromesso dicendosi “non mangerò carne nel weekend/non la mangerò per cena/non la mangerò il lunedì”.
Penso che in passato siamo stati un po’ ossessionati a definire le identità: “questa persona è vegana, quella pescatariana, quella vegetariana”. Quello che ci dovrebbe davvero ossessionare — perché si merita la nostra ossessione — è cercare di ridurre la sofferenza nel mondo e la quantità di distruzione. Dovremmo accettare e celebrare qualsiasi percorso porti le persone a una minore sofferenza e distruzione. In termini di relazione con il clima, gli studi scientifici più completi che parlano di relazione tra ciò che mangiamo e cambiamento climatico suggeriscono che le persone che vivono in città ricche come Milano o New York, dove vivo io, debbano ridurre il loro consumo di carne del 90% e dei latticini del 60%.
Penso che una cosa che dovremmo fare sia consolidare abitudini che hanno senso per noi e che richiedono il minore sforzo possibile. Nel mio libro propongo di non mangiare origine animale per colazione e pranzo. Molte persone potrebbero leggerlo e dire: “beh, se è sbagliato, dovremmo smettere di farlo sempre”. E io direi “fantastico, smetti di farlo sempre, è meglio”. Potrebbero anche esserci lettori che dicono: “so che è giusto ma non riesco a farlo sempre, ma potrei provarci almeno a colazione”, e io direi: “fantastico, è un primo passo”.
Dobbiamo farlo ora, dobbiamo muoverci nella direzione verso cui tutti sappiamo dobbiamo muoverci. Queste non sono solo le preoccupazioni dei movimenti per i diritti animali e lo stesso vale per i movimenti ambientalisti. Sono valori umani universali. In America [del Nord] il 96% delle persone vorrebbe leggi per proteggere animali dalla violenza. E non mi viene in mente davvero nient’altro su cui il 96% degli americani si trovano d’accordo. Sono valori umani basilari, come anche volere un’aria pulita, acqua pulita, un Pianeta vivibile. Dobbiamo raccontare questa storia in questo momento non sentendosi necessariamente radicali, anche se i cambiamenti che chiediamo sono radicali. Ma dobbiamo percepire il movimento come qualcosa di buon senso, qualcosa che percepiamo come positivo, non negativo, e qualcosa su cui possiamo essere tutti d’accordo.
Che consigli daresti a un’associazione animalista per essere più efficace?
Sono stato in alcuni allevamenti intensivi da cui provengono il 99,9% degli animali che vengono mangiati negli USA e quello che ho visto in questi allevamenti mi ha veramente preoccupato non perché sia particolarmente interessato ai diritti degli animali, ma perché sono un essere umano. Non conosco nessuno, inclusi i miei amici che mangiano carne o i miei amici che non sono interessati ai diritti animali, che andando in un allevamento intensivo possano dire che va bene. Tutti direbbero che non va bene. Quindi penso che sia importante stare attenti al linguaggio che usiamo per mostrare che siamo tutti d’accordo, che siamo tutti d’accordo che questo è intollerabile, cattivo, crudele, che non vogliamo pagare con i nostri soldi, non vogliamo che entrino nei nostri corpi.
Penso che la sfida per il movimento per i diritti degli animali e benessere degli animali è entrare in connessione con le persone. Ci sono delle situazioni dove dire che mangiare carne è un assassinio funziona, ma penso che ci siano messaggi più efficaci, perché la verità è che le persone che mangiano carne non vogliono pensare a se stessi come assassini, o essere accusati di esserlo, e quando gli si parla in questi termini si mettono sulla difensiva. Forse invece si può trovare un modo diverso di dirlo “proprio come me ti importa, proprio come me anche tu non vuoi un animale in gravidanza in una gabbia così piccola che non si può girare. Ovviamente non vuoi animali che sono stati pompati per crescere così velocemente che le loro ossa si rompono dopo solo 30 giorni perché il loro corpo è diventato troppo grande per essere sostenuto dalla struttura ossea. Ovviamente non vuoi animali tenuti prigionieri tutto il giorno. Quindi lavoriamo insieme per lottare contro questo.”
In Se niente importa racconti l’esperienza di essere entrato in un allevamento intensivo di notte, di nascosto. Una pratica che Essere Animali fa abitualmente per controllare, filmare e denunciare quello che succede in quei luoghi. Sono curiosa, cosa ti ha spinto a fare una cosa del genere? Raccontaci tutto.
Perché sono andato in un allevamento intensivo nel mezzo della notte? La ragione è che durante il giorno non si può entrare nel tipo di allevamenti che producono quasi tutta la carne che si mangia in America. C’è un’estrema segretezza, molto simile a quella militare. Ed è illegale fare fotografie all’interno degli allevamenti, anche se le fai su suolo pubblico ed entrare dentro in un allevamento è considerato un atto di terrorismo domestico. Quindi l’unico modo di vedere che cosa c’è dentro — ed è necessario farlo — è quello di intrufolarsi ed è una cosa che può spaventare anche molto perché si ha paura di essere catturati, arrestati, ma anche paura di ciò che si potrebbe vedere perché ciò che c’è dentro questi capannoni è molto triste, c’è solo sofferenza, violenza e morte. Gli allevatori a volte si sentono sotto attacco da parte degli attivisti e che vengono considerati delle persone cattive. In un mondo di 7 miliardi di persone, gli allevatori non sono persone malvagie a cui piace maltrattare gli animali e distruggere l’ambiente. È l’industria che domina il Pianeta ad essere crudele e distruttiva.
Perché facciamo fatica a reagire pur sapendo le conseguenze della crisi climatica?
Nel 1942 c’era un cattolico della resistenza polacca, di nome Jan Karski, che si infiltrò nel ghetto di Varsavia e in un campo di sterminio per raccogliere prove e testimonianze da portare in USA, e cercare così di convincere i capi di Stato a fare qualcosa. Riuscì ad arrivare in America e a incontrare numerose persone influenti, incluso il giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter. Condivise con lui tutto quello che aveva scoperto, visto e sentito. E Franfurter disse infine: “Devo essere onesto con te, non riesco a credere a ciò che stai dicendo”. E Karski rispose: “Come puoi non credermi? Guarda a tutte queste testimonianze! Perché dovrei mentire?”. E Frankfurter: “Non sto dicendo che tu stia mentendo, sto dicendo che non riesco a crederti. Il mio cuore e la mia mente sono fatti in un modo per cui mi è impossibile crederti.” Credo che sia lo stesso problema per molte persone. Sappiamo che sta succedendo e ci preoccupiamo di cosa sta succedendo, ma non siamo capaci di crederci. Non siamo mossi ad agire in maniera proporzionata rispetto a ciò che sta succedendo. E penso che molti di noi siano consapevoli della nostra incapacità di crederci.