Tutto quello che c’è da sapere sulla peste suina africana
Negli anni scorsi ha decimato la popolazione di suini in Cina, a gennaio 2022 ne è stata confermata la presenza aanche in Italia. Che cos’è la peste suina africana e perché ancora una volta gli animali vengono sacrificati in nome del profitto?
Dopo il SARS CoV 2 negli allevamenti di visoni e l’influenza aviaria in quelli di avicoli, un altro virus minaccia gli animali negli allevamenti, in questo caso i suini.
Che cos’è la peste suina africana
La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce i maiali e i cinghiali e che si manifesta con febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei ed emorragie interne. Ha un tasso di letalità altissimo, può uccidere infatti quasi il 100% degli individui che si ammalano, e per ora non è trasmissibile agli esseri umani — a differenza dell’influenza suina che invece ha bassa mortalità nei maiali e può trasmettersi anche nella popolazione umana.
Al momento non esiste né cura né vaccino e perciò le disposizioni finora messe in campo — ma che si sono rivelate inefficaci o insufficienti — includono misure di prevenzione (biosicurezza, gestione delle popolazioni suscettibili di suini domestici e selvatici) e misure di emergenza (contenimento, isolamento delle popolazioni colpite e abbattimento).
L’infezione può avvenire in diversi modi, non solo con il contatto diretto con animali infetti, ma anche con oggetti contaminati o l’ingestione da parte degli animali di resti di carne infetta. Il virus è inoltre capace di sopravvivere per diversi mesi nella carne processata e due anni in quella congelata. Per questo motivo, una delle misure che viene presa quando in un Paese vengono registrati casi di PSA è quella di sospendere tutte le importazioni di carne dalla nazione interessata. Non sorprende quindi che l’alto tasso di letalità, un eventuale blocco delle esportazioni, unito alla mancanza di un vaccino e alle difficoltà di contenimento del virus nei selvatici preoccupino molto il settore suinicolo, che chiede al governo di intervenire con misure efficaci.
Com’è arrivata in Europa
La malattia è endemica nel continente africano, ma negli anni si è diffusa in molte aree del mondo, incluse Asia ed Europa, probabilmente attraverso scarti alimentari provenienti dall’Africa. A partire dal 2014, sono stati segnalati i primi casi nei Paesi Baltici e in Polonia. Tra il 2016 e il 2018 ha raggiunto Moldavia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Bulgaria, Belgio, tra il 2019 e il 2020 Serbia, Grecia e Germania.
In Italia, fino al 2022, la presenza del virus era stata registrata soltanto in Sardegna a partire dal 1978, sia negli animali domestici allevati allo stato brado o semi-brado, che nei cinghiali. Tuttavia, il 6 gennaio 2022 il Centro di referenza nazionale per le pesti suine dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha confermato la presenza di un caso di PSA in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria (Piemonte).
L’elenco dei comuni che il Ministero della Salute ha inserito nella lista dell’area infetta da peste suina africana ha continuato a crescere coinvolgendo non solo il Piemonte ma anche la Liguria. Al 30 marzo 2023 sono stati confermati 332 casi positivi in Piemonte e 193 in Liguria, per un totale di 525 positività.
In un comunicato LAV ha escluso che il virus sia arrivato in Italia attraverso i paesi confinanti, ma che sia «realistico presumere che il veicolo di introduzione del virus nel nord-ovest del nostro Paese sia l’essere umano». Qualunque sia stato il mezzo attraverso cui il virus è arrivato nel nostro Paese, il pericolo è che possa diffondersi tra i maiali allevati, anche a causa dei cacciatori elencati dall’EFSA come uno dei principali possibili diffusori del virus, comportando quindi la morte di milioni di animali a causa dell’infezione o per gli eventuali abbattimenti.

© Essere Animali
Il caso della Cina e la preoccupazione del settore suinicolo italiano
Nel 2019 la pandemia di peste suina africana in Cina — sì, pandemia — ha portato all’abbattimento di circa 200 milioni di maiali, macellati in anticipo o morti a causa della malattia. Si parla di circa il 40% di tutti i suini del Paese. I dati non sono ufficiali, ma secondo l’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) è una stima “ragionevole”. La pandemia è continuata e si pensa che nel 2020 la cifra sia stata raggiunta o addirittura superata. Il settore suinicolo parla di danni incalcolabili.
E difatti, da quando anche in Italia sono stati rinvenuti casi di peste suina — al momento esclusivamente in cinghiali allo stato brado —, il settore suinicolo ha immediatamente espresso preoccupazione: come abbiamo detto prima, sia per la diffusione di un virus altamente letale che potrebbe raggiungere gli allevamenti, ma anche per un eventuale blocco delle esportazioni di salumi e carni suine che al momento vale 1,7 miliardi di euro. Svizzera, Cina, Giappone, Taiwan e Kuwait avrebbero già disposto la sospensione di carne suina italiana.

© Reuters
Come riportato da Anmvi, a gennaio 2022 la Regione Lombardia ha istituito una task force e sospeso la caccia nel territorio pavese. L’assessore all’agricoltura – al tempo Fabio Rolfi – Fabio Rolfi ha dichiarato: «La peste suina rappresenta un disastro per l’export di un comparto strategico come quello dei suini. In Lombardia è allevato il 53% dei capi a livello nazionale. Quindi faremo di tutto per contrastare l’arrivo e la diffusione di questa malattia portata dalla fauna selvatica».
A inizio marzo 2023, con un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato nominato un nuovo commissario straordinario per la gestione dell’emergenza Peste suina Africana: Vincenzo Caputo, Direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, il quale è succeduto ad Angelo Ferrari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte. Caputo avrebbe affermato che «con azioni serrate, controlli a tappeto e verifiche costanti, nel prossimo triennio potremmo cominciare a parlare di messa sotto controllo».
Bisogna cambiare

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Se la peste suina iniziasse a diffondersi negli allevamenti, milioni di animali avrebbero pochissime, se non nessuna, chance di sopravvivenza. Il tutto dopo i numerosissimi abbattimenti negli allevamenti avicoli colpiti dall’influenza aviaria di tutto il mondo che ha portato alla morte di 140 milioni di animali. Ancora una volta la loro salute non è per niente considerata.
Ma anche la nostra, ancora una volta, potrebbe essere messa a rischio per colpa degli allevamenti intensivi. Come abbiamo già visto infatti, l’eventualità che un virus muti e sviluppi la capacità di infettare l’essere umano non è remota. Vale la pena correre il rischio?
Il termine “virus” è ormai entrato a far parte del nostro vocabolario quotidiano, ma non per questo dobbiamo abituarci a convivere con epidemie continue e persistenti, sia nella popolazione animale che in quella umana. Gli allevamenti intensivi sono luoghi pericolosi per gli animali e un rischio per la salute pubblica. La soluzione, ancora una volta, è quella di rivedere il nostro sistema alimentare basato sullo sfruttamento e il consumo degli animali.
Quello che accade agli animali non ti piacerà. Ma per cambiare le cose, prima bisogna conoscerle.
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