Carne di pollo: per produrla troppi antibiotici


Maria Mancuso
Web content editor

Nel mondo vengono allevati 80 miliardi di polli ogni anno, in Italia oltre 500 milioni. E mentre il consumo di carne bovina diminuisce, quella avicola aumenta, complici il prezzo e la percezione che sia un’alternativa più salutare. Non è così.

Al di là delle pubblicità che mostrano polli felici che mangiano solo erba, baciati dal sole e, soprattutto, sani, la verità è un’altra: i polli, anche in Italia, vengono allevati per lo più in grossi numeri e in condizioni igienico-sanitarie pericolose. Nel 2019 il 99,8% dei polli italiani è stato allevato in impianti con una capienza media di 31.700 animali e questo significa enormi capannoni, illuminati artificialmente, con un’aria irrespirabile carica di ammoniaca e il pavimento colmo di deiezioni.

Questi polli, lontani dall’essere “ruspanti”, sono deboli: hanno difese immunitarie molto basse dovute alle condizioni di allevamento e a un patrimonio genetico molto limitato. Il 90% dei polli allevati a livello mondiale per la produzione di carne sono broiler, vale a dire sono selezionati geneticamente per crescere il più velocemente possibile, a danno della loro salute. I broiler infatti tendono ad avere molti problemi allo scheletro, dovuti alle dimensioni spropositate del petto rispetto a quelle degli arti che lo sostengono. 

Allevamento di polli: l’uso massiccio di antibiotici è comune

Date queste condizioni, non sorprenderà che questi animali abbiano bisogno di antibiotici. Come mostrato dalla nostra indagine sotto copertura in un allevamento Aia, i polli destinati alla produzione di carne ricevono abitualmente antibiotici nel mangime e nell’acqua, e la maggior parte di questi farmaci non viene somministrata per curare le malattie, che è il modo in cui li usiamo nelle persone.

Se in Italia l’utilizzo di questi farmaci per la crescita è vietato — a differenza degli Stati Uniti — quello per la prevenzione delle malattie è sistematico perché serve a evitare le malattie a cui gli animali sono soggetti quando sono allevati intensivamente.

In un position paper pubblicato a settembre, l’Associazione medici per l’ambiente – Isde Italia ha affermato: «le condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi, che, nell’abbassare il loro benessere ne abbassano anche le difese immunitarie, richiedono per il mantenimento della loro salute un alto intervento di medicalizzazione, particolarmente di antibiotici, contribuendo all’antibiotico-resistenza, trasmissibile all’uomo».

Un pollo non riesce a reggersi sulle zampe perché il suo petto è troppo grande.
© Essere Animali

Il risultato è l’antibiotico resistenza

Per molto tempo si è pensato che il processo di resistenza agli antibiotici fosse dovuto all’uso improprio che gli esseri umani ne fanno in medicina: e difatti si chiede spesso di regolare in maniera più severa la prescrizione di questi medicinali. Ma non è solo questo il motivo.

L’uso massiccio di antibiotici nel settore zootecnico è infatti una delle cause principali dell’antibiotico resistenza, proprio come denunciano i medici dell’Isde. Questo processo avviene quando i batteri che in passato potevano essere debellati grazie ad alcuni farmaci diventano, appunto, resistenti e quegli antibiotici smettono di funzionare.

Quasi i due terzi degli antibiotici utilizzati nella zootecnia infatti sono composti che vengono utilizzati anche contro le malattie umane, il che significa che quando si manifesta resistenza contro l’uso in allevamento di quei farmaci, si mina l’utilità dei farmaci anche nella medicina umana. I batteri resistenti sono una grave minaccia per la salute globale e col passare del tempo la situazione sta solo peggiorando.

Il meccanismo per cui gli organismi patogeni sviluppano resistenza ai medicinali che dovrebbero ucciderli è naturale ed è sempre esistito sin dall’invenzione della penicillina, ma somministrarli agli animali non fa che velocizzare questo processo, a spese della nostra stessa vita.

antibiotico resistenza
Gli antibiotici vengono somministrati non solo ai polli, ma a tutti gli animali allevati dall’industria zootecnica, inclusi pesci, mucche, e maiali.
© Adobe Stock

Milioni di morti ogni anno per antibiotico-resistenza

Gli esperti prevedono che nel 2050 dieci milioni di persone ogni anno moriranno per colpa dei batteri resistenti agli antibiotici nel mondo, circa il doppio di tutti i morti causati dalla pandemia di coronavirus. A livello economico, la resistenza agli antibiotici costerà al mondo 100 miliardi di dollari

Il rischio è che si torni a un’era post-antibiotica in cui qualsiasi tipo di operazione può rappresentare un rischio letale, anche solo l’estrazione di un dente.

Ciò che rallenta l’emergere della resistenza ai farmaci è un uso corretto: la somministrazione di una giusta dose, per il giusto periodo di tempo, per un batterio che è vulnerabile al farmaco, e per nessun altro motivo. Tuttavia la maggior parte dell’uso di antibiotici negli allevamenti viola queste regole. Il risultato sono i batteri resistenti. 

Il caso della salmonella negli Stati Uniti

Come denunciato da Pro Publica, da diversi anni negli Stati Uniti un pericoloso ceppo di salmonella ha fatto ammalare migliaia di persone. Tutto è iniziato nel 2018 quando decine di abitanti della East Coast iniziano a stare male dopo aver mangiato della carne di pollo. Altri casi vengono rilevati in zone lontane come Texas e Missouri: le vittime presentano dolori fortissimi all’addome, diarrea e vomito. Il fatto più preoccupante è che nessun antibiotico sembra avere effetto su questo particolare ceppo, conosciuto come Salmonella infantis multiresistente.

Gli ispettori federali per la sicurezza alimentare trovano il ceppo in impianti di pollame: petti di pollo, salsicce e ali in diverse strutture sono infettati. Nonostante questo, le autorità non avvertono prontamente i cittadini, né impongono cambiamenti ai produttori, né richiamano gli stock di pollo contaminato. 

Pochi mesi dopo il Centers for Disease Control and Prevention chiude l’indagine, nonostante sia a conoscenza che le persone continuano ad ammalarsi, e lo fanno ancora oggi. In Europa i casi di salmonella nel pollame sono meno frequenti, ma anche qui la resistenza agli antibiotici è un problema grave.

macello di polli industriale
Se tutti potessero vedere come viene prodotta la carne, in molti smetterebbero di mangiarla.
© iStock

Bisogna risolvere il problema alla fonte: gli allevamenti

In Europa 33.000 persone muoiono ogni anno a causa della resistenza ai farmaci e di queste 10.000 sono italiane, un terzo. Secondo il rapporto della European Medices Agency, l’Italia acquista ogni anno circa 1500 tonnellate di principio attivo antimicrobico, 500 per uso umano e 1.067 per uso zootecnico

Ad agosto le Nazioni Unite hanno lanciato un appello chiedendo  «una riduzione significativa e urgente delle quantità di farmaci antimicrobici, compresi gli antibiotici, utilizzati nei sistemi alimentari», affermando che questa azione è  «fondamentale per combattere i crescenti livelli di resistenza agli antibiotici». 

Seppur positiva, l’iniziativa è stata definita dagli esperti «un’occasione mancata», in quanto non indica dei target di riduzione specifici, né esige un divieto dell’utilizzo di antibiotici per la crescita degli animali negli allevamenti, che è possibile in molte parti del mondo. Tutte azioni che sarebbero invece necessarie per fermare la “il lento tsunami” che ogni anno causa almeno 700 mila morti in tutto il mondo.

Durante le nostre indagini sotto copertura abbiamo spesso documentato operatori somministrare antibiotici mescolati al cibo a tutti gli animali, anche a maiali di pochi giorni senza valutazione veterinaria e senza alcuna evidenza di patologie specifiche. Se vogliamo evitare questa pandemia silenziosa, è necessario cambiare il nostro sistema alimentare in modo urgente.

È necessario rivedere la nostra alimentazione per tutelare e salvaguardare gli animali e per mettere al sicuro la salute globale. Scopri come farlo al meglio!