Finché le banche finanzieranno gli allevamenti intensivi le emissioni non diminuiranno
Secondo una ricerca, attraverso il loro sostegno all’agribusiness le istituzioni finanziarie hanno tratto profitto dalla distruzione delle foreste. Un’altra indagine dimostra che le banche pubbliche di sviluppo finanziano attivamente gli allevamenti intensivi. Così non possiamo combattere la crisi climatica.
Deforestation Dividends pubblicata dalla ONG Global Witness mette in luce come a partire dall’Accordo di Parigi sul clima nel 2015, diverse banche e gestori patrimoniali (asset managers) con sede nell’UE, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Cina abbiano concluso accordi per un valore di 157 miliardi di dollari con aziende accusate di aver distrutto la foresta tropicale in Brasile, Sud-Est asiatico e Africa.
Global Witness stima che queste istituzioni finanziarie — che comprendono HSBC, BNP Paribas e JP Morgan — abbiano incassato 1,74 miliardi di dollari di interessi, dividendi e commissioni dal finanziamento di quelle attività che comportano il più alto rischio di deforestazione: soprattutto soia, carne bovina, olio di palma, cellulosa e carta.
Come se non bastasse, la maggior parte di queste banche avrebbero affermato di voler allineare i propri investimenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e di selezionare i propri clienti in modo da frenare l’impatto su foreste e biodiversità. Impegni rimasti tali solo su carta.

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La perdita della foresta pluviale ha conseguenze devastanti per il clima, per le popolazioni che vivono nelle foreste e per la biodiversità. E nonostante i numerosissimi messaggi lanciati dalla comunità scientifica e dalla società civile per ridurre al più presto le emissioni di gas serra e limitare al minimo le conseguenze peggiori della crisi climatica, tra il 2016 e il 2020, la domanda di terreni in Amazzonia, nel sud-est asiatico e in Africa centrale su cui produrre soia, carne bovina e altri prodotti ha contribuito alla perdita di circa 23 milioni di ettari di foreste tropicali, un’area grande quasi quanto il Regno Unito.
I legami tra JBS e la deforestazione erano noti
Secondo Deforestation Dividends alcune banche avrebbero consigliato ai propri clienti di investire nei colossi della carne come JBS nonostante fossero consapevoli delle loro cattive pratiche relative alla deforestazione. Che colossi della carne come JBS, Minerva Meats e Marfrig siano legati in qualche modo alla deforestazione di decine di migliaia di ettari di terreni in Amazzonia è infatti noto da tempo e lo dimostra anche un report ottenuto dal Bureau of Investigative Journalism.

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Secondo Richard Pearshouse, Head of Crisis and the Environment at Amnesty International: «JBS è consapevole dei rischi che il bestiame allevato illegalmente in aree protette possa entrare nella sua catena di approvvigionamento almeno dal 2009. JBS non è riuscita a implementare un sistema di monitoraggio efficace per la sua catena di approvvigionamento, compresi i suoi fornitori indiretti. Deve rimediare ai danni causati e mettere prontamente in atto sistemi per evitare che ciò accada di nuovo». Pearhouse fa riferimento al fenomeno conosciuto come “lavaggio del bestiame” (“lava-gado” in lingua portoghese), messo in luce da Amnesty International in un documento intitolato: Brazil: Cattle illegally grazed in the Amazon found in supply chain of leading meat-packer JBS.
I finti impegni di JBS a favore del clima
La deforestazione non è l’unico modo in cui aziende come JBS contribuiscono al cambiamento climatico: un altro è l’allevamento intensivo di bovini che produce ingenti quantità di metano. Lo studio Emissions Impossible pubblicato nel 2018 ha rilevato che JBS è stato il maggiore produttore di emissioni di gas serra di tutto il settore della carne e di prodotti lattiero-caseari a livello globale. E secondo un recente studio di DeSmog JBS dal 2016, allevando sempre più animali, ha aumentato le emissioni di oltre il 50% negli ultimi e ora emette più gas serra dell’intera Italia.
A marzo di quest’anno la JBS ha promesso di raggiungere emissioni zero entro il 2040, un impegno molto ambizioso che nessun’altra azienda del settore si è assunta. Ma come spesso accade quando si tratta di impegni climatici, dalle parole non si è passato ai fatti. Secondo IATP, l’impegno dell’azienda per il 2040 «non prevede alcun piano per rallentare la sua rapida crescita nella produzione di carne». E difatti, subito dopo l’annuncio, l’azienda ha diffuso la notizia di voler investire 130 milioni di dollari per espandere la capacità di lavorazione in due dei suoi impianti di lavorazione della carne bovina negli Stati Uniti.

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Anche le banche pubbliche di sviluppo investono negli allevamenti intensivi
Secondo il Guardian, anche le banche pubbliche di sviluppo stanno minando agli Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite e gli obiettivi di Parigi dirigendo miliardi di dollari di fondi pubblici nelle multinazionali della carne.
Un’indagine del 2020 del Guardian e del Bureau of Investigative Journalism ha svelato che negli ultimi dieci anni, soltanto due banche, vale a dire la World Bank’s International Finance Corporation (IFC) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), hanno fornito 2,6 miliardi di dollari per l’allevamento di suini, pollame e bovini, nonché alla lavorazione di latte e carne. Le prime cinque banche di sviluppo avrebbero speso in questo settore più di 4,6 miliardi di dollari in soli dieci anni.
Come spiegano Kari Hamerschlag and Christopher D. Cook, ridurre le emissioni di metano è la nostra migliore speranza per arginare rapidamente la crisi climatica. E in fatto di emissioni di metano, gli allevamenti intensivi hanno sicuramente un ruolo fondamentale da giocare, visto che quelle causate dagli animali rappresentano circa il 32% di tutte le emissioni antropiche. Proprio negli ultimi giorni durante le discussioni della COP26, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha svelato un piano per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Purtroppo però questo piano ignora gli allevamenti intensivi.
Che aziende come JBS continuino a inquinare e fare profitti a scapito del benessere degli animali e della collettività è un fatto già di per sé inaccettabile, ma che banche, sia private che pubbliche, continuino a indirizzare miliardi di dollari in questo business è drammatico.
Il tempo sta per scadere e non possiamo più sprecarlo.