Il consumo di pesce continua a crescere, con gravi conseguenze sulla salute degli animali, umana e quella dell’ambiente. Siamo andati in Liguria in un allevamento di orate e branzini per mostrare come vivono i pesci rinchiusi in mare aperto.
Al mattino, assieme a due nostri attivisti subacquei, abbiamo raggiunto il porto, ci siamo imbarcati e in circa 10 minuti di viaggio, a un miglio dalla costa ci siamo trovati davanti a una ventina di gabbie circolari, formate da reti, contenenti migliaia di animali.

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Una volta lì i nostri sub si sono preparati per l’immersione: hanno indossato le bombole, le maschere, le pinne e si sono tuffati in acqua fino a 10 metri sotto la superficie del mare per vedere quanto fossero estese le gabbie. Un enorme muro di rete con all’interno centinaia di migliaia di pesci: questo è ciò che hanno documentato i nostri attivisti, per mostrare da dove viene il pesce che finisce sulle nostre tavole. Questi animali sono costretti a vivere imprigionati in mezzo al mare in condizione di sovraffollamento senza stimoli, fino a un anno e mezzo di età per poi essere pescati e macellati.
Il 53% del pesce consumato in tutto il mondo proviene proprio da allevamenti come questo. L’acquacoltura è nata per fermare l’impoverimento dei mari e degli oceani causato dalla pesca, ma la maggior parte delle specie ittiche allevate sono carnivore. Questo significa che per nutrire gli animali negli allevamenti vengono comunque sfruttati gli stock ittici selvatici: ben un terzo del totale degli animali selvatici pescati è destinato alla produzione di mangimi per quelli allevati.

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I consumi di pesce in Italia sono molto alti: 31 kg a testa ogni anno — ben oltre la media europea di 24,3 e quella globale di 21 kg. Le orate e i branzini sono le specie più consumate (1 pesce su 4), ma la produzione italiana copre solo il 15% della domanda interna, perciò la maggior parte vengono importati, soprattutto dalla Grecia.
Anche i pesci vanno tutelati
I pesci sono animali senzienti, capaci di provare dolore e paura, ma negli allevamenti ittici sono tenuti in condizioni terribili, che non tengono conto dei loro bisogni etologici. Vivono in spazi ristretti, affollati e sporchi, anche per anni, e vengono alimentati con mangimi che contengono pesci selvatici pescati con reti a strascico. Oltre a non essere sostenibile per la sua dipendenza dalla pesca industriale, l’acquacoltura fa anche ampio uso di antibiotici e mette quindi in pericolo la biodiversità marina e la salute umana.
Il nuovo report dell’Aquatic Animal Alliance
Noi di Essere Animali facciamo parte dell’Aquatic Animal Alliance che oggi ha diffuso un report pubblicato da Aquatic Life Institute, in cui mette in luce la connessione tra le condizioni di vita degli animali negli allevamenti ittici e le problematiche relative alla salute dei pesci, degli esseri umani e dell’ambiente.
Come spiega il report, infatti, l’acquacoltura può avere un impatto molto negativo sulla salute degli ecosistemi: la fuga di pesci dagli allevamenti ittici può mettere a rischio la vita delle specie native; la presenza di mangime nelle vasche può compromettere la qualità dell’acqua dove sono collocate, portando alla nascita di zone “morte”, proliferazione di alghe e problemi sanitari gravi; l’uso massiccio di antibiotici può promuovere lo sviluppo di ceppi resistenti ai farmaci. Per approfondire, puoi scaricare qui il riassunto del report e qui la versione completa.

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Un anno che può cambiare tutto
Questo è un anno cruciale, perché hanno avuto luogo il primo Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari (UN Food Systems Summit) e lo sviluppo delle nuove linee guida FAO per l’acquacoltura sostenibile. Ma non solo: in questi mesi abbiamo partecipato alla campagna No Animal Left Behind, coordinata da Eurogroup for Animals, che chiede alla Commissione Europea una revisione completa della legislazione in materia di tutela degli animali da allevamento. Una delle richieste della campagna è proprio quella di espandere la protezione a quegli animali che finora la legislazione non ha mai contemplato, come i pesci.
Ma non è tutto, con la nostra campagna AncheiPesci ci impegniamo affinché anche le catene dei supermercati adottino policy più severe per tutelare i loro diritti.
Ė tempo che l’approccio verso gli animali acquatici cambi profondamente e vengano riconosciuti loro i pur minimi diritti riservati agli animali terrestri.