Il tribunale di Forlì ha assolto l’allevatore che la Procura aveva rinviato a giudizio per maltrattamento di animali, art. 544 ter c.p., a seguito di una nostra denuncia nei confronti di un allevatore di maiali destinati alla produzione di prosciutto DOP.
Abbiamo depositato la denuncia in seguito a un’indagine del nostro team investigativo che aveva monitorato le condizioni dell’allevamento più volte, nell’arco di sei mesi, documentando con video e fotografie la presenza di centinaia di maiali con ferite da cannibalismo e di animali abbandonati a se stessi, senza cibo né acqua, lasciati presumibilmente morire d’inedia.
Guarda il video con le dichiarazioni dei nostri responsabili
L’assoluzione ha dell’incredibile. In seguito alla nostra denuncia, infatti, il Corpo forestale dello Stato di Forlì eseguì un’ispezione congiunta con la AUSL, accertando e documentando nell’allevamento una situazione simile a quella che riscontrarono i nostri investigatori in sei mesi di indagine e documentata in diversi filmati.
Il primo processo in Italia per maltrattamento di animali “da reddito”
Sapevamo di avere di fronte un compito non facile. Si è trattato del primo processo in Italia per il reato di maltrattamento nei confronti di animali non appartenenti a specie cosiddette familiari, come i cani e i gatti, ma di animali allevati per l’alimentazione, verso cui vi è una diversa considerazione morale.
Proprio per questo, avevamo messo in conto una derubricazione del reato da maltrattamento a detenzione incompatibile, una contravvenzione punita con un’ammenda fino a 10.000 euro. Tuttavia, non ci aspettavamo un’assoluzione, alla luce dei precisi e dettagliati elementi di prova raccolti dal Corpo forestale dello Stato, ed emersi anche durante la nostra investigazione, che mostravano una situazione di incuria prolungata nel tempo, contro la quale l’allevatore non si è attivato, violando le prescrizioni di legge sul benessere dei maiali.
La nostra indagine del 2016
Nel 2016, per oltre sei mesi, i nostri investigatori hanno monitorato un allevamento intensivo nel forlivese, documentando la presenza di centinaia di maiali feriti e sofferenti. Le immagini fecero il giro del mondo e vennero diffuse anche in Inghilterra, Cina e Hong Kong.
In seguito alla nostra denuncia, la Forestale di Forlì e la AUSL competente eseguirono un’ispezione nell’allevamento. Nel proprio verbale, la polizia giudiziaria riferiva che in una porzione di uno dei capannoni destinati alla fase di preingrasso vi era un’evidente presenza di episodi di aggressività e persino cannibalismo, con molti maiali in diversi box che si presentavano con le orecchie morsicate. Le autorità trovarono anche un maiale con la coda cannibalizzata fino all’altezza delle vertebre, che appariva abbandonato senza cure. Il vello dei maiali appariva sporco, incrostato di deiezioni.
Una situazione che il veterinario della AUSL aveva ritenuto dipendere dall’assenza di arricchimenti ambientali e di spazio pulito, aggiungendo che gli animali venivano gestiti con palese negligenza delle norme vigenti in materia. Dopo il controllo, centinaia di maiali vennero trasferiti in un capannone attiguo. La AUSL impartì prescrizioni affinché quel capannone non fosse adoperato fino al ripristino delle condizioni necessarie a garantire il benessere degli animali.
Dagli atti delle indagini era poi emerso che già in precedenza la gestione dell’allevamento era stata carente, con numerose prescrizioni impartite e anche in parte disattese dalla proprietà. In un audit ufficiale del 2014, si evidenziava che la presenza di materiale manipolabile era “appena sufficiente”. Inoltre, il periodo di allevamento delle scrofe in gabbia singola era superiore a quanto consentito dalla normativa.
La sentenza: ricorreremo in appello
Nonostante anche il maresciallo dei carabinieri forestali abbia confermato durante le udienze quanto emerso durante le ispezioni — aggiungendo che nel corso della sua esperienza non aveva mai assistito a una situazione simile — il giudice ha purtroppo accolto integralmente la tesi della difesa. Ha quindi assolto l’imputato perché il fatto non sussiste e si è riservato 60 giorni per il deposito delle motivazioni.

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