Rai 3 con il nostro contributo mostra la verità sulle problematiche dietro lo sfruttamento animale
SSalto di specie, epidemie e antibiotico resistenza, l’inchiesta realizzata dalla giornalista Sabrina Giannini, con l’importante contributo del nostro team investigativo, ha messo a fuoco le responsabilità di un sistema distruttivo.
«Perfino ora, semidei caduti dall’Olimpo, non comprendiamo che questa pandemia era evitabile e che rappresenta un’opportunità, seppur drammatica, per prevenirne altre. È un momento cruciale della nostra evoluzione.» Sono le parole che danno il via alla puntata di sabato 27 febbraio di Indovina chi viene a cena e la voce è di Sabrina Giannini, giornalista, conduttrice del programma e autrice di diverse inchieste trasmesse su Report.
Zoonosi: sempre più frequenti e letali
La puntata è dedicata alle zoonosi e al sistema di produzione della carne, un business che sfrutta gli animali, distrugge l’ambiente e mette a rischio la salute di tutta l’umanità. Un sistema di ipersfruttamento delle risorse naturali e degli esseri viventi che è legato a stretto filo con l’emergere di nuove malattie infettive: dalla Spagnola, alla Sars, dalla febbre suina, a Mers, Ebola e aviaria.
Secondo l’OMS, il 70% delle nuove patologie infettive è di origine animale. Questo vuol dire che il salto di specie è prevedibile e quindi evitabile. Distruggere il delicato ecosistema nelle zone adiacenti alle foreste, cacciare e cibarsi di animali selvatici, la deforestazione, l’urbanizzazione incontrollata, il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature, sono tutte attività antropiche che mettono a rischio la biodiversità e moltiplicano le probabilità di spillover da un animale selvatico ad altre specie e l’essere umano.
Lo abbiamo visto con il SARS-CoV-2, la cui storia non è stata ancora chiarita, ma che è accertato sia di origine animale. Si guarda ai pipistrelli: serbatoi di virus ancestrali che vengono catturati e messi a stretto contatto con altre specie domestiche. Ma non sono solo gli animali selvatici a dare origine a zoonosi: gli allevamenti intensivi sono bombe ad orologeria dove virus e batteri proliferano senza trovare ostacoli.
Gli allevamenti di visoni e il coronavirus
Dopo l’Indonesia, la giornalista Sabrina Giannini si sposta all’interno degli allevamenti di visoni, dove è riuscita ad entrare grazie al contributo del nostro team investigativo.

© Essere Animali
Questi luoghi sono fondamentali per capire l’evoluzione della pandemia perché l’unica catena di trasmissione del coronavirus SARS-CoV-2 documentata finora è quella umano-visone-umano. Ad oggi non sappiamo ancora se ci sia o quale sia l’animale che ha fatto da tramite tra pipistrello e l’essere umano, sappiamo però che siamo stati noi a contagiare i visoni, i quali ci hanno poi trasmesso il virus mutato. E le mutazioni sono pericolosissime perché rischiano di inficiare l’efficacia dei vaccini. È proprio per paura di questo che la Danimarca ha deciso di abbattere 15 milioni di visoni presenti in 1146 allevamenti sparsi nel suo territorio.
Il settore era già in crisi prima dell’inizio della pandemia per diverse ragioni, una su tutto il declino del mercato delle pellicce, motivo per cui alcuni Stati hanno deciso di anticipare o di introdurre il divieto di allevamento di questi animali. L’Italia ha reagito con lentezza rispetto ad altri Paesi e pochi giorni fa il Ministro Speranza ha firmato un’ordinanza con la quale sospende le attività di allevamento di visoni per tutto il 2021. Un risultato importante, ma parziale, perché il divieto dovrebbe essere definitivo.
La Giannini mostra poi le nostre immagini riprese a Capralba, il più grande allevamento italiano di visoni situato in provincia di Cremona, dove a dicembre sono stati abbattuti tutti i 28 mila animali presenti nella struttura perché alcuni erano risultati positivi al coronavirus. L’Italia, a differenza della Danimarca, ha realizzato scarsi controlli e, quando due campioni prelevati nell’agosto 2020 sono risultati positivi, le autorità non hanno diffuso la notizia, mettendo a rischio la salute dei cittadini.
Guarda il video dell’abbattimento dei visoni di Capralba
Gli allevamenti di maiali e il rischio zoonosi
Uno degli intervistati nella puntata è il Dr Hans Jørn Kolmos, professore di microbiologia clinica, che solleva un punto fondamentale: secondo lui anche i maiali hanno le qualità genetiche per essere infettati dai coronavirus, sia attraverso i pipistrelli, che i visoni. Ciononostante, l’industria della carne ha rifiutato di procedere con i tamponi ai maiali, per non mettere a rischio la produzione e gli enormi profitti.
Gli allevamenti intensivi sono il luogo ideale per l’emergere e il diffondersi di virus: data l’omogeneità genetica e le condizioni di sovraffollamento, quando entrano in contatto con un virus è impossibile fermarlo. E più si diffonde, più aumenta il rischio di mutazione. È quello che è successo con l’influenza spagnola che nel tra il 1918 e il 1920 ha ucciso due milioni di persone. In questo caso i maiali americani sono stati infettati dagli uccelli selvatici.
Allevamenti intensivi e antibiotico resistenza
Un’altra epidemia in corso che uccide migliaia di persone ogni anno è quella della resistenza agli antibiotici. L’Italia è al primo posto per morti in Europa ogni anno: 10.000 su un totale di 33.000. E ancora una volta sono gli allevamenti intensivi gli indiziati principali. L’abuso di farmaci negli allevamenti facilita l’emergere di batteri multiresistenti.
Un esempio è lo stafilococco aureo resistente alla meticillina, un antibiotico utilizzato anche dagli esseri umani. Un’analisi del Salvagente su 21 latti, tra freschi e UHT, venduti in Italia ha rilevato tracce di antibiotici su 12 campioni: più della metà. Questo dimostra l’esistenza di una pratica irregolare ma diffusa secondo cui il latte di mucche trattate da antibiotici contro la mastite viene mischiato con latte “pulito” per far abbassare i livelli di medicinali fino al limite legale.
Come (si) protegge l’Unione Europea
L’Unione Europea prosegue con la sua corsa ai vaccini ma dimentica che una mutazione del SARS-CoV-2 potrebbe renderli vani. E per quanto terrificante, questa non è un’ipotesi remota. Allo stesso tempo siamo in grado di prevedere che nel 2050, circa 400.000 persone in Europa annualmente perderanno la vita a causa della resistenza agli antibiotici.
Ogni anno la comunità scientifica pubblica pagine e pagine di studi approfonditi su queste minacce, ma le loro parole sembrano cadere nel vuoto. L’Europa fa orecchie da mercante e di fronte a questi dati iha deciso di confermare i contributi PAC agli allevamenti intensivi. Sette miliardi di euro che non saranno impiegati per il bene pubblico, ma per il profitto di un’industria colpevole di compromettere il futuro della vita sulla Terra.