Un nuovo report di Eurogroup for Animals espone le innumerevoli problematiche che la pesca di cattura selvatica comporta per il benessere di milioni e milioni di pesci strappati ogni anno a mari e oceani, mettendo in luce l’indiscutibile crudeltà dell’industria ittica.
Si intitola Catching Up: Fish Welfare in Wild Capture Fisheries lo studio pubblicato da Eurogroup for Animals, che per la prima volta analizza nel dettaglio le terribili conseguenze che la pesca di cattura, principalmente di natura intensiva e industriale, ha sulla vita dei pesci selvatici. Questo tipo di cattura avviene principalmente per due finalità : il consumo umano diretto o indiretto – ossia per produrre farina e olio di pesce, ingredienti molto comuni nei mangimi utilizzati nel settore zootecnico.
La lunga agonia dei pesci vittime della pesca
Malgrado il numero stimato di pesci selvaggi pescati ogni anno superi la spaventosa cifra di un trilione di singoli individui, l’infinita sofferenza di cui questi animali sono vittime a causa delle attività legate alla pesca commerciale è ancora largamente ignorata. Il silenzio attorno al loro sfruttamento continua a persistere nonostante una vastissima letteratura scientifica dimostri che i pesci sono esseri senzienti in grado di percepire dolore e stress, oltre che a provare una gamma variegata di emozioni.
Dall’istante in cui vengono catturati fino al momento in cui sopraggiunge la morte, i pesci selvatici sono condannati a soffrire in una lunga serie di eventi dolorosi, frutto di pratiche di pesca dannose che costituiscono un pericolo costante per il loro benessere.
La cattura: la sofferenza della pesca intensiva

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Durante il processo di cattura, che può durare ore o addirittura giorni interi, i pesci soffrono terribilmente poiché vengono ammassati in centinaia di migliaia all’interno di enormi reti dove possono morire schiacciati dal peso degli altri individui intrappolati. Subiscono gravi lesioni fisiche come abrasioni o danni oculari e alle pinne, e sono sottoposti a stress acuto e sfinimento estremo. Inoltre, i pesci immobilizzati dagli strumenti della pesca diventano più facilmente il bersaglio di altri predatori poiché non riescono a liberarsi e fuggire di fronte al pericolo di attacchi mortali.
Lo sbarco
L’agonia dei pesci continua una volta trasportati e scaricati a bordo del peschereccio. Operazioni di manipolazione quali la rimozione dell’amo o degli individui impigliati tra le maglie delle reti provocano ulteriori ferite e stress ad animali ancora perfettamente coscienti. La scorsa estate abbiamo pubblicato un’indagine sulla brutale pesca con l’arpione nelle acque del Sud Italia, durante la quale i nostri investigatori hanno ripreso la straziante estrazione degli uncini dal corpo martoriato di un esemplare di pesce spada ancora vivo.
La macellazione dopo la pesca in mare

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I pesci che sopravvivono alla cattura e allo sbarco sono costretti a subire torture atroci al momento dell’uccisione. Nella pesca di cattura selvatica, infatti, non viene utilizzato un metodo di macellazione specifico: nella maggior parte dei casi la morte avviene in maniera accidentale durante il processo di cattura o di lavorazione. Asfissia, immersione in una poltiglia di acqua e ghiaccio, dissanguamento e decapitazione sono i metodi più comunemente impiegati dall’industria della pesca, ma considerati inaccettabili in quanto fonte di terribili sofferenze per i pesci, ai quali non viene minimamente garantito uno stordimento efficace.
Anche i pesci allevati muoiono dolorosamente
Ai pesci allevati viene riservata la stessa dolorosa sorte al momento dell’uccisione. Nelle nostre numerose indagini negli allevamenti ittici di Italia e Grecia abbiamo documentato pratiche di stordimento assenti o inefficaci e tecniche di macellazione cruente, a causa delle quali i pesci troppo spesso agonizzano per interminabili minuti prima di morire dolorosamente.
Per questa ragione abbiamo lanciato la campagna #AncheiPesci, la quale ha un duplice obiettivo: da un lato sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni critiche in cui versano i pesci negli allevamenti intensivi; dall’altro fare pressione sulla Grande distribuzione organizzata (Gdo) affinché questa si impegni a ridurre la sofferenza dei pesci allevati nelle loro filiere.

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Una sofferenza evitabile
É evidente che la pesca di cattura, proprio come tutte le altre attività che comportano lo sfruttamento illimitato degli animali a scopo alimentare, è fonte di dolore sconfinato per i pesci selvaggi, i quali meritano di essere difesi e protetti. Inoltre la pesca, proprio come l’acquacoltura, è la causa principale dello svuotamento degli oceani che, nel 2051, potrebbero essere vuoti, senza più pesci. Ognuno di noi però ha il potere di fare qualcosa di concreto: scopri con il nostro test quali sono le problematiche e le soluzioni per salvare gli oceani.