Aviaria: allarme in Europa e nel mondo, si teme una mutazione


Maria Mancuso
Web content editor

A ormai quasi un anno dall’inizio della pandemia di SARS-CoV-2, nonostante il legame tra allevamenti intensivi e rischio di insorgenza di nuovi virus sia stato ampiamente accertato, ci ritroviamo di fronte a un nuovo pericolo: una pandemia di influenza aviaria.

Da mesi ormai l’influenza aviaria dilaga negli allevamenti di tutta Europa e di molti Paesi asiatici. Il virus è stato rinvenuto nel nostro continente già nella primavera del 2020 e si pensa provenga da alcuni uccelli migratori che si sarebbero infettati in Russia e nel Kazakistan. L’alta patogenicità del virus e le condizioni in cui vivono milioni di polli, tacchini e anatre negli allevamenti di tutta Europa rendono la diffusione — e di conseguenza anche una mutazione — difficile da arginare.

Finora i casi di influenza aviaria riscontrati nell’essere umano sono avvenuti principalmente a causa del trasferimento diretto del virus da pollame infetto a persone. Tuttavia si teme ci siano già stati casi di trasmissione del virus tra esseri umani. Il rischio che il virus muti e sviluppi la capacità di diffondersi facilmente da persona a persona non è affatto remoto, tanto che il nuovo piano pandemico abbozzato dal governo italiano ha già messo in conto una possibile pandemia di aviaria nella popolazione italiana. Così come il coronavirus, anche questo è un disastro preannunciato che potrebbe sfuggirci di mano da un momento all’altro

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Nel 2019 in Italia sono stati macellati 511 milioni di polli.
© Essere Animali

I primi focolai d’influenza aviaria a Settembre 2020

A settembre l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) sollecita i Paesi dell’UE a intensificare la sorveglianza e le misure di biosicurezza per prevenire possibili nuove epidemie di influenza aviaria. L’allarme segue la notizia di alcuni focolai di aviaria ad alta patogenicità negli uccelli selvatici e il pollame nella Russia occidentale e nel Kazakistan. Essendo l’Europa una rotta di migrazione di alcune specie di uccelli acquatici, è chiaro fin da subito che il virus arriverà inevitabilmente anche nei Paesi europei.

In un report l’autorità segnala sette focolai di virus di influenza aviaria altamente patogeni (HPAI, sottotipo H5N8) registrati tra il 16 maggio e il 15 agosto 2020: uno in Bulgaria e sei in Ungheria. Un focolaio di influenza aviaria, in questo caso a bassa patogenicità (LPAI, sottotipo H5N3), viene rinvenuto anche in Italia. In questo momento l’introduzione di severe misure di biosicurezza diventa cruciale.

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Il sovraffollamento degli animali negli allevamenti intensivi favorisce la diffusione di virus.
© Essere Animali

Già a settembre quindi l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare segnala che alla luce dell’esperienza passata, l’HPAI potrebbe arrivare nelle zone dell’Europa settentrionale e quella orientale tra autunno e inverno, ma non è da escludere una diffusione anche nei Paesi dell’Europa meridionale e occidentale. E infatti così avviene.

L’influenza aviaria a fine 2020 

A ottobre vengono registrati oltre 300 casi in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito principalmente in animali selvatici. In Olanda viene isolato il virus HPAI, sottotipo H5N8, in alcuni cigni, ma le autorità confermano un focolaio anche in un allevamento di polli da carne nel sud est del Paese. In Italia la Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari (Dgsaf) invia ai servizi veterinari delle raccomandazioni per la riduzione del rischio di diffusione del virus nel territorio italiano. Una delle iniziative messe in campo è la sospensione dell’utilizzo di uccelli come richiami vivi nella caccia. 

A fine novembre si registra una rapida ascesa dei focolai in Europa, con casi confermati in uccelli selvatici e pollame in Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio, Francia, Croazia e Corsica. Intanto il 20 novembre il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria in Italia comunica il rilevamento del virus in anatre selvatiche cacciate in Veneto.

Sempre nello stesso mese arriva la notizia che anche il Regno Unito è interessato da focolai negli allevamenti di tacchini e polli. In due settimane, si registrano casi nelle aree del Cheshire, Devon, Gloucestershire e Hertfordshire. A fine novembre oltre 10 mila tacchini vengono abbattuti nello Yorkshire. Più tardi vengono confermati casi anche in Scozia.

La diffusione dell’influenza aviaria da Dicembre a Gennaio 2021

A dicembre il Giappone si ritrova a gestire la peggiore epidemia di influenza aviaria della storia nazionale. A fine mese sono più di 3 milioni i polli abbattuti in 12 prefetture sparse nel territorio. 

In Francia all’inizio di quest’anno vengono abbattute 200 mila anatre allevate per la produzione di foie gras nelle zone delle Landes, del Gers e dei Pyrénées-Atlantiques; altre 400 mila verranno abbattute nelle prossime settimane. 

Di pochi giorni fa è invece la notizia che l’influenza aviaria sta dilagando anche negli allevamenti di polli in almeno nove stati dell’India. Sembra che il virus sia arrivato persino nella capitale Delhi, dove le autorità hanno ordinato di chiudere il mercato di Ghazipur — il suo più grande mercato all’ingrosso di pollame — lo zoo, i parchi con laghi e le riserve naturali.

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Un operatore indossa la mascherina mentre sposta alcune gabbie colme di polli a Vancouver (Canada).
© Jo-Anne McArthur / We Animals

Influenza aviaria in Italia

In questi giorni sta circolando la bozza del nuovo piano pandemico nazionale che sarà valido dal 2021 al 2023 e che spiega come fronteggiare al meglio nuove possibili pandemie. Nella bozza, come riporta il Fatto Quotidiano viene detto che: «Alla luce della recente esperienza pandemica con virus diversi dall’influenza, si ritiene peraltro prudente non escludere dalle ipotesi programmatorie la possibilità, per quanto improbabile, che possano emergere virus influenzali caratterizzati da una elevata trasmissibilità e alta patogenicità (ad esempio determinata da future mutazioni di H5N1)». L’H5N1 è un sottotipo del virus dell’aviaria che può colpire, e ha già colpito in passato, l’essere umano.

Pollo ad alto rischio pandemico

Gli allevamenti intensivi di polli sono da sempre sotto l’occhio attento dei ricercatori e dei virologi perché, date le loro caratteristiche, sono luoghi in cui i virus possono mutare e diffondersi senza controllo: secondo l’epidemiologo Marius Gilbert della Université Libre de Bruxelles «il nesso tra comparsa dei virus dell’influenza aviaria, assai patogeni, e allevamento intensivo del pollame è evidente».

Dal 2003 le persone uccise dal virus dell’influenza aviaria sono qualche centinaio. Nonostante le infezioni da H5N1 nell’uomo siano (finora) rare, se il virus imparasse a trasmettersi in maniera efficiente da umano a umano, circa il 60% delle persone infette morirebbe — come spiega il Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti. Nonostante questo sia risaputo e nonostante l’esperienza degli effetti devastanti causati dal coronavirus, poco è stato fatto per evitare che una nuova pandemia prenda il via. Anzi, mentre affrontiamo quella di SARS-CoV-2 ci ritroviamo a fare i conti con la minaccia di una nuova, assai più pericolosa. 

A ottobre l’Unione Europea si è trovata a dover prendere una decisione che avrebbe potuto cambiare in meglio le sorti del continente: riformare la PAC ed eliminare una volta per tutte i sussidi agli allevamenti intensivi, colpevoli di incubare virus letali e di inquinare più di tutte le auto in circolazione. L’occasione è stata mancata e le aspettative disattese. Nonostante questo, l’impegno di associazioni e cittadini non si ferma.

Le cose possono cambiare 

Le difficoltà e le sfide che abbiamo di fronte non devono impedirci di fare qualcosa di importante, per noi e per il futuro delle nuove generazioni, a partire da oggi.

Mangiare vegetale e quindi smettere di contribuire a un sistema che non solo causa sofferenza profonda agli animali, ma mette anche a rischio il benessere della popolazione mondiale, diventa un atto di portata collettiva. Come diceva un articolo pubblicato ad aprile sul Manifesto: non possiamo tornare alla normalità perché la normalità è il problema. Cambiare le nostre abitudini è cruciale e quanto mai urgente: unisciti alle oltre 500 mila persone che questo gennaio hanno deciso di farlo.