Il consumo di pesce pro capite in Italia continua ad aumentare: come delineato dal nostro report 2010 – 2019 Dieci anni di zootecnia in Italia, nel 2017 ha superato i 30 kg annui con una crescita del 50% rispetto al 2010. Il pesce spada è la quinta specie di pesce più consumata nel nostro Paese (5,7% rispetto al totale del pesce consumato), preceduto soltanto da orata (30,6%), merluzzo nordico (19,3%), salmone (17,4%) e spigola (17%).
L’aumento del consumo pro capite è sostenuto dalle importazioni. L’Italia è infatti uno dei mercati di destinazione più importanti per il pesce spada nell’Unione Europea: nel 2017 ne abbiamo importato 21.741 tonnellate soprattutto da Spagna, Portogallo e Cina.
La pesca del pesce spada in Italia
Per quanto riguarda la pesca interna, secondo l’Istat, nel 2017 sono state catturate 2.625 tonnellate di pesce spada.

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Nell’ambito della pesca industriale, fino ai primi anni Duemila venivano regolarmente impiegate le cosiddette spadare, reti derivanti di dimensioni molto ampie il cui utilizzo è stato vietato perché, assieme ai pesci spada, catturano “accidentalmente” numerose altre specie marine non commerciabili, inclusi cetacei e tartarughe. In molti ricorderanno la notizia di qualche settimana fa del capodoglio Furia impigliato nelle reti da pesca a largo delle isole Eolie, che dimostra come queste reti, seppur vietate, vengano ancora utilizzate da alcuni pescatori.

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Perché si usano ancora le spadare
Secondo un nostro informatore, i pescatori che ne fanno ancora uso beneficiano di ciò che viene chiamato in inglese loophole, una falla nella regolamentazione tecnica europea già denunciata da diverse associazioni nel 2015. La normativa consente infatti di tenere a bordo delle proprie imbarcazioni tre reti, in tutto e per tutto identiche alle spadare, lunghe 800 metri l’una. Il trucco starebbe nel dichiarare alle autorità che queste verranno utilizzate, una volta in mare, come reti da circuizione. La drammatica realtà è che queste vengono portate in mare e, di notte, vengono unite tra loro a formare un unico pezzo da 2,4 km e poi lasciate in superficie causando le nefaste conseguenze descritte prima.

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Palangari e arpionaggio
Dato il divieto di utilizzo delle spadare, il sistema di pesca più diffuso è quello dei palangari, attrezzi costituiti da una lunga lenza che permette il posizionamento di centinaia di ami e che possono essere calati in prossimità del fondale, oppure a mezz’acqua. Nell’ultimo caso, se forniti di grossi ami, possono essere impiegati per la cattura di grandi pesci come appunto il pesce spada, ma anche il tonno rosso e quello alalunga. Nel 2017, il 57% dei pesci spada pescati sono stati catturati tramite i palangari.
Un ulteriore tipo di pesca che interessa il pesce spada è quello della piccola pesca artigianale. Nel 2017, il 16% del pesce spada pescato proveniva da questo tipo di pesca costiera, nella quale rientra la pesca con l’arpione. Quest’ultimo è un metodo utilizzato soprattutto per la cattura del pesce spada nelle acque dello Stretto di Messina, a bordo delle tradizionali feluche: imbarcazioni munite di una passerella lunga circa 25 metri, sulla quale viene posizionato un arpionatore e una torretta di avvistamento dalla quale vengono individuati i pesci.
La nostra indagine sulla brutale pesca con l’arpione
Pochi giorni fa abbiamo diffuso le immagini che documentano una battuta di pesca con l’arpione a largo di Scilla (RC), filmate da un nostro investigatore sotto copertura.
Il video mostra i tentativi del pesce di liberarsi dall’arpione che è ormai conficcato nel corpo. Una volta issato sulla barca, ancora vivo, la sua carne viene lacerata con un coltello per facilitare l’estrazione degli uncini. La morte sopraggiunge per asfissia dopo diversi minuti di agonia, durante la quale il pesce rimane cosciente con il corpo martoriato di ferite.
I dati che riguardano i volumi delle catture provenienti dalla pesca con l’arpione non sono facilmente reperibili, perché gran parte del pescato viene venduto a ristoranti e pescherie della zona. Questo tipo di pesca, a differenza di altri metodi, non provoca catture accidentali di specie non desiderate e viene perciò spesso considerato più sostenibile di altri. Tuttavia, non si può dimenticare il dolore e la violenza inferti sui pesci catturati.
I pesci sono gli animali meno tutelati e più macellati al mondo, ma a differenza di quanto comunemente si pensa, hanno i requisiti anatomici e fisiologici necessari per sentire dolore e provare paura, oltre a varie sensazioni positive. Alcuni studi hanno iniziato ad analizzare anche la loro personalità, mostrando come individui della stessa specie sottoposti allo stesso stimolo rispondono in maniera diversa a seconda delle loro emozioni. Nonostante questo, ai pesci non viene neanche concesso lo stordimento prima dell’uccisione, imposto invece per legge nel caso degli animali terrestri.

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