Gli investimenti nell’industria della carne sono a rischio: pandemico ed economico
Nonostante sia riuscito a salvare molti animali dal finire al macello, Jeremy Coller non può essere definito propriamente un attivista per i diritti degli animali. Non ha mai fatto indagini sotto copertura in un allevamento, né partecipato a una protesta fuori da un circo.
Di lavoro fa lo Chief Investment Officer a Coller Capital, è un uomo della finanza; ma, come dichiara lui stesso, vorrebbe essere ricordato come un uomo «che ha salvato qualche mucca dal finire in un allevamento intensivo».
Questo esperto di finanza è la mente dietro alla fondazione di FAIRR, Farm Animal Investment Risk and Return, un’iniziativa che studia le conseguenze dell’allevamento industriale sulla sostenibilità globale e sviluppa risorse che mettono in luce i rischi legati agli investimenti nell’industria della carne. Essendo un uomo d’affari ‒ è uno degli uomini più ricchi del Regno Unito secondo il Sunday Times Rich List ‒ il suo approccio è tutto orientato al profitto: «Facendo sì che l’allevamento su scala industriale diventasse un fatto di carattere materiale e non morale, ho cambiato la conversazione e parlato a Wall Street del rischio che diventi uno stranded asset».
Gli stranded asset sono investimenti in impianti e infrastrutture che sono a rischio di perdere il loro valore in futuro per varie cause (per esempio nuove regolamentazioni, decrescita di domanda). Un esempio noto a tutti sono i combustibili fossili (miniere, piattaforme offshore, pozzi petroliferi), destinati a perdere competitività e valore a vantaggio delle energie rinnovabili.
L’alto rischio pandemico rende il settore non conveniente
La strategia di FAIRR è di fare leva su considerazioni cosiddette ESG ‒ environmental, social, and governance, cioè ambientali, sociali e di amministrazione ‒ spiegando a potenziali investitori che alcune pratiche nell’industria della carne, come l’utilizzo degli antibiotici e la deforestazione, non presentano soltanto dei rischi per la salute umana o ambientale, ma minacciano anche la stabilità e il rendimento degli investimenti.

© Michael Conroy/AP Photo
L’emergere della pandemia di COVID-19 ha portato sotto i riflettori dei media tutti i rischi legati allo sfruttamento degli animali. Secondo Maria Lettini, dirigente di FAIRR, «è stata una convergenza di quasi ogni singolo rischio di cui abbiamo parlato negli ultimi quattro anni. Il COVID-19 li ha messi allo scoperto».
È per questo motivo che a giugno di quest’anno FAIRR ha pubblicato il rapporto An industry infected che ha voluto classificare le più grandi aziende che controllano il mercato della carne a livello mondiale in base al rischio di pandemia. Questo rischio contempla sia la loro vulnerabilità a queste crisi, sia la probabilità che contribuiscano a una futura pandemia. Il report conclude che più del 70% delle aziende del settore della carne presentano un rischio pandemico alto.

© Essere Animali
Coinvolgere gli azionisti
Secondo FAIRR, per poter dare priorità a queste problematiche, è necessario coinvolgere la comunità di investitori, perché l’industria dei derivati animali dipende dai loro capitali. Perciò, per vedere un cambiamento bisognerà aumentare la trasparenza e obbligare le grandi aziende a farsi carico dei rischi legati alle metodologie di produzione industriale.
Proprio gli investitori, grazie alla crisi causata dal COVID-19, hanno potuto vedere come l’industria della carne presenti dei rischi enormi per la salute di tutti, anche delle loro tasche. Spostare i grossi capitali verso investimenti che portano prosperità e condizioni di vita migliori a tutti, compresi gli animali, sarà di primaria importanza se vogliamo evitare il rischio di nuove pandemie.