Oggi, un gruppo di attiviste e attivisti di Essere Animali ha messo in atto una protesta davanti a un allevamento di maiali nel bresciano. L’azione ha focalizzato l’attenzione sulle principali criticità degli allevamenti intensivi, dalle condizioni riservate agli animali fino all’inquinamento di cui queste strutture sono responsabili.
Perché proprio Brescia
Abbiamo scelto Brescia non a caso. La Lombardia è la prima regione per numero di maiali allevati – con oltre 4 milioni e circa il 50% della produzione nazionale – e la provincia di Brescia detiene il triste record della quantità di maiali allevati, con un numero addirittura maggiore a quello della popolazione umana.

© Oriella Minutola / Essere Animali
Rispetto ai 1.200.000 abitanti della zona, infatti, vengono allevati circa 1.300.000 suini. Un raffronto incredibile, che lascia sgomenti e impone serie considerazioni in merito all’impatto degli allevamenti intensivi. La provincia di Brescia che, con la sua elevata concentrazione di animali allevati – perlopiù maiali – rappresenta in qualche modo l’emblema dello sfruttamento di migliaia, milioni di animali allevati a scopo alimentare e dell’inquinamento causato dagli stessi allevamenti in percentuali preoccupanti.
Le crudeltà riservate agli animali
È stato esposto un lungo striscione e alcuni cartelli che evidenziavano alcune delle principali problematiche su cui vogliamo focalizzare l’attenzione. È esattamente questo il messaggio che abbiamo voluto comunicare. E per farlo siamo partiti anzitutto dalle condizioni in cui vivono milioni di animali negli allevamenti intensivi. Il team investigativo di Essere Animali ha realizzato diverse indagini negli allevamenti, e documentato innumerevoli volte lo stato di queste strutture e le sofferenze degli animali.
Le immagini raccolte mostrano regolarmente le situazioni tipiche degli allevamenti intensivi: ovvero migliaia di animali stipati gli uni sugli altri, privati di ogni bisogno etologico proprio della specie e costretti a vivere in condizioni di sofferenza e stress continui. Ma non è tutto, ci sono alcune crudeltà sistematiche e inaccettabili. Negli allevamenti intensivi, infatti, gli animali vengono sottoposti a mutilazioni – come il taglio della coda per i maiali e quello del becco per le galline – proprio per evitare aggressioni ed episodi di cannibalismo dovuti allo stress continuo.

© Oriella Minutola / Essere Animali
Spesso, il team investigativo ha documentato anche casi di animali feriti e malati, in molti occasioni addirittura abbandonati a loro stessi e lasciati morire senza alcuna cura, proprio perché non sono nient’altro che meri numeri in mezzo ad altre migliaia. E in queste strutture, curarli dedicandogli tempo e denaro, è un’opzione neppure considerata. Ma oltre agli aspetti che riguardano la parte etica del problema, e che continuiamo a condannare con sempre maggior forza, ci sono risvolti preoccupanti e minacciosi che riguardano la parte ambientale e l’impronta degli allevamenti intensivi.
L’impatto degli allevamenti sull’ambiente e la salute pubblica
È ormai un’opinione condivisa da molti esperti e dalla scienza, quella che individua negli allevamenti intensivi una delle principali cause dell’inquinamento ambientale, della compromissione degli ecosistemi e di minaccia per la saluta pubblica. Gli allevamenti in questione, sia per il considerevole numero di animali allevati che per le modalità di gestione – affrontate sopra – atte ad ottimizzare al massimo la produzione a scapito del benessere degli animali, imprimono un impatto notevole sull’ambiente. Non sono soltanto responsabili di un utilizzo e uno spreco indiscriminato di risorse, ma causano soprattutto inquinamento atmosferico, del suolo e delle falde acquifere.
Stando alle dichiarazioni della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) il settore degli allevamenti è responsabile per oltre il 14% dell’emissione di gas serra liberati in atmosfera. Una percentuale che però sale di molto se consideriamo anche l’impatto dell’agricoltura e delle piantagioni dedicate esclusivamente al foraggio degli animali. Gli allevamenti sono invece la prima causa di emissione di CO2 – soltanto in Lombardia ne producono l’85% del totale – e la seconda per l’emissione di PM10 (un altro potente inquinante liberato in atmosfera). A ciò si aggiunge l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere. Infatti, i reflui vengono smaltiti – e talvolta illegalmente – nei campi, utilizzati come veri e propri siti per lo smaltimento dei rifiuti prodotti negli allevamenti. Abbiamo analizzato il problema focalizzando l’attenzione sulle condizioni di vita degli animali e sull’impatto degli allevamenti in termini ambientali, ma c’è un altro aspetto, non ultimo per importanza, che si sta rivelando sempre più attuale. Parliamo della correlazione tra lo sfruttamento degli animali, e quindi dell’enorme concentrazione di allevamenti intensivi, e la diffusione dei virus.

© Oriella Minutola / Essere Animali
È un aspetto che ha riportato a galla la recente pandemia del Covid-19, di cui ci siamo occupati più volte. Come circa il 70% delle malattie umane fino ad oggi conosciute, anche quella che ha causato l’ultima pandemia è infatti di origine zoonotica, ovvero deriva da un’interazione più o meno diretta fra gli animali e l’essere umano. A dimostrazione del fatto che rivedere il nostro rapporto con gli animali, e ridiscutere le attuali metodologie di allevamento, è un’urgenza necessaria anche per la salute pubblica, oltre che per la tutela degli stessi animali.
Essere Animali lavora da tempo su questa linea, e anche la protesta andata in scena oggi rafforza ulteriormente le nostre motivazioni. Cambiare prospettiva nei confronti degli animali e dell’ambiente, è ormai inevitabile se vogliamo andare incontro ad un futuro più etico e sostenibile.
Quello che accade agli animali non ti piacerà. Ma per cambiare le cose, prima bisogna conoscerle.
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