Antibiotico resistenza e allevamento intensivo. Tutto quello che c’è da sapere

Maialino a cui viene somministrato antibiotico in allevamento italiano
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Antibiotico resistenza e allevamento intensivo. Tutto quello che c’è da sapere


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Maria Mancuso
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L’utilizzo generalizzato e sistematico di antibiotici negli allevamenti intensivi sta contribuendo al fenomeno dell’antibiotico resistenza, una minaccia per la salute globale.

Ognuno di noi ha dovuto prendere questi farmaci almeno una volta nella vita e, fatta qualche eccezione, diamo per scontato che abbiano effetto, che ci curino. Purtroppo, senza un cambiamento radicale nelle pratiche di allevamento degli animali, questo potrebbe presto cambiare, riportandoci all’era pre-antibiotica.

Che cos’è l’antibiotico resistenza?

Gli antibiotici sono farmaci che impediscono lo sviluppo di batteri e che quindi sono essenziali per il trattamento di infezioni batteriche. Da quando all’inizio del ‘900 sono stati messi in commercio, hanno portato a un miglioramento generale della salute umana. 

Negli ultimi anni, tuttavia, sono aumentati gli studi che mettono in guardia sui rischi legati all’antibiotico resistenza, il processo per cui i batteri riescono a resistere agli antibiotici che in passato potevano debellarli. Alla base di questo processo vi è la selezione naturale, che spinge i batteri ad adattarsi in modo da resistere ai farmaci. Un processo inevitabile, ma che viene agevolato e accelerato da un uso eccessivo di antibiotici, come avviene negli allevamenti.

Questo fenomeno rappresenta un problema globale di salute pubblica e determina costi sanitari elevati, degenze ospedaliere prolungate e soprattutto un incremento della mortalità per chi viene infettato da un batterio resistente.

Il triste primato italiano

In fatto di antibiotico resistenza, l’Italia detiene un triste primato: è prima in Europa per numero di morti causate da questo fenomeno. Su 33.000 decessi in tutto il continente, oltre 10.000 avvengono soltanto nel nostro Paese.

Purtroppo questo non è l’unico numero a preoccupare: di tutti gli antibiotici utilizzati in Italia,  il 70% è impiegato negli allevamenti. Nel nostro Paese si acquistano ogni anno circa 1500 tonnellate di principio attivo antimicrobico: 1067 di queste vengono utilizzate nella zootecnia e oltre la metà finisce negli allevamenti di suini. Solo 500 tonnellate sono destinate all’uso umano.

Secondo l’ultimo report EMA – ESVAC (European Medicines Agency – European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption), siamo il secondo il paese nell’Unione Europea per utilizzo di antibiotici in zootecnia: compriamo in media 273,8 milligrammi di antibiotico per unità di bestiame, quattro volte più della vicina Francia (68,6 milligrammi), tre più della Germania (89 milligrammi).  

Perché è un problema per gli animali?

latte-antibiotici negli allevamenti intensivi
Durante una delle nostre indagini abbiamo visto iniezioni endovenose eseguite da personale non qualificato a mucche di un allevamento che produceva latte.
© Essere Animali

Negli allevamenti l’impiego di antibiotici può essere di tre tipi:

  • terapeutico: per trattare un animale malato a seguito di una specifica diagnosi;
  • metafilattico: per trattare un intero gruppo di animali che sono stati a contatto con l’esemplare malato;
  • profilattico: per trattare gli animali in modo preventivo, prima ancora che qualcuno manifesti dei sintomi specifici di una determinata malattia.

Per contenere l’antibiotico-resistenza (AMR), la comunità è concorde nel sostenere che gli antibiotici dovrebbero essere utilizzati esclusivamente a scopo terapeutico, a seguito di specifica diagnosi e che i trattamenti di massa a scopo metafilattico e soprattutto a scopo profilattico dovrebbero essere evitati o fortemente limitati.

Essere Animali ha documentato più volte l’uso profilattico degli antibiotici negli allevamenti intensivi. Durante le nostre indagini sotto copertura, abbiamo visto operatori somministrare antibiotici mescolati al cibo a tutti gli animali, anche a maiali di pochi giorni senza valutazione veterinaria e senza alcuna evidenza di patologie specifiche. Lo stesso accade in vari allevamenti di polli fornitori del marchio AIA: come mostrano le immagini della nostra ultima investigazione – la prima in Italia a documentare l’intero ciclo di allevamento del pollo – per mantenere in vita il maggior numero di animali si ricorre regolarmente a un uso massiccio di antibiotici.

Come abbiamo detto, questo utilizzo indiscriminato è preoccupante e rischioso per la salute degli animali e di quella umana. Eppure, non è altro che la regola negli allevamenti intensivi, dove gli standard di allevamento, tra cui le alte densità di animali, le condizioni di stress e quelle igienico-sanitarie facilitano il proliferare di batteri e virus. Un ulteriore fattore che spinge l’industria zootecnica a fare largo uso di antibiotici dipende dal fatto che l’allevamento su larga scala dipende da un grande numero di animali geneticamente molto simili tra loro, quelli che vengono considerati “ad alto rendimento” e che sono in grado di fornire prodotti uniformi su larga scala. Molto spesso, infatti, all’interno delle poche razze allevate, la diversità genetica tra gli individui è estremamente limitata, cosa che rende la popolazione più vulnerabile all’insorgenza di malattie rispetto ai gruppi con maggiore variabilità genetica, perché nel secondo caso è più probabile che ci siano anche individui capaci di resistere all’infezione.

È il caso per esempio del pollo broiler, un ibrido il cui tasso di crescita è superiore del 400% rispetto al suo predecessore allevato nel 1950. Oggi il 90% del pollo da carne venduto in tutto il mondo appartiene a una manciata di razze geneticamente omogenee. Nel concreto, la selezione genetica e l’allevamento intensivo di poche razze indeboliscono fortemente le barriere immunologiche che possono rallentare la trasmissione di malattie, mentre l’enorme densità di animali negli stabilimenti, e lo stress cui sono sottoposti, facilita questa trasmissione, debilitando ulteriormente la risposta immunitaria. Si tratta di un problema noto da tempo e sollevato dalla FAO già nel 2013, con il rapporto World Livestock 2013: Changing Landscapes Disease, dove si evidenziava che «di tanto in tanto si verificano grandi epidemie, quando un agente patogeno esegue un salto di virulenza, sfugge ai vaccini utilizzati, acquisisce resistenza agli antibiotici, e viaggia lungo la catena alimentare».

L’uso routinario degli antibiotici, inclusa la somministrazione profilattica prima che gli animali presentino segni clinici di una malattia, verrà vietata nell’Unione Europea a partire dal gennaio 2022. Secondo Coilín Nunan dell’Alliance to Save Our Antibiotics «l’Italia ha bisogno di intraprendere azioni importanti per prepararsi al divieto europeo sui trattamenti di gruppo del 2022. L’eliminazione graduale dell’uso routinario degli antibiotici deve avvenire molto più velocemente di quanto non stia effettivamente succedendo e l’allevamento deve migliorare i propri standard per ridurre i livelli di malattie, altrimenti il divieto del 2022 arriverà come un grande shock per gli allevatori italiani, perché non potranno più affidarsi alla somministrazione routinaria degli antibiotici ai loro animali».

Perché è un problema per l’ambiente?

Com’è facile immaginare, le enormi quantità di antibiotici utilizzati negli allevamenti rappresentano un grave problema anche per l’ambiente. Un rapporto di Greenpeace del 2018 ha messo in luce come la presenza di allevamenti intensivi in Lombardia – e in particolare nella provincia di Brescia – abbia un impatto drammatico sulla salute dei fiumi circostanti, dove sono state trovate tracce di farmaci veterinari, inclusi antibiotici.

antibiotici usati trovati in un allevamento
Negli allevamenti troviamo spesso enormi quantità di medicinali e antibiotici usati, come nell’immagine sopra.
© Essere Animali

A Roggia Savarona, in provincia di Brescia, sono stati rilevati 11 diversi tipi di farmaci, 7 dei quali antibiotici. Si tratta del numero più alto riscontrato in un singolo campione.

Non va meglio nel resto d’Europa, dove l’analisi di Greenpeace ha rilevato tracce di farmaci diversi in quasi l’80% dei campioni, per un totale di 21 sostanze. 12 di queste sono risultate essere antibiotici.

Perché è problema per la salute umana?

Come afferma il Ministero della Salute: «Senza antibiotici efficaci potremmo tornare all’era pre-antibiotica, quando i trapianti di organi, la chemioterapia per il cancro, la terapia intensiva e tutte le altre procedure mediche, incluse alcune cure odontoiatriche, non sarebbero più possibili senza l’insorgenza di infezioni anche gravi. Le malattie batteriche si diffonderebbero e, non potendo più essere curate, causerebbero la morte». La relazione tra impiego di antibiotici nel settore zootecnico e sviluppo di antibiotico resistenza, così come il rischio di trasmissione di batteri resistenti all’uomo, sono dimostrati.

Il grande impiego di antibiotici negli allevamenti contribuisce a selezionare popolazioni di batteri sempre più resistenti ai principi attivi impiegati ed esistono molteplici vie di trasmissione perché questi batteri resistenti possano trasmettersi all’uomo. Tra le vie primarie di diffusione c’è il contatto diretto con gli animali, che riguarda soprattutto le persone che lavorano negli allevamenti e negli impianti di trasformazione, ma il rischio arriva anche alle porte di casa, perché batteri resistenti possono essere presenti nella carne che compriamo e contaminare gli utensili e gli altri alimenti con cui vengono a contatto prima di essere cotti. Un altro problema è poi quello dei residui di antibiotici negli alimenti che, anche se presenti con concentrazioni sotto i limiti di legge, possono sollevare qualche criticità.

Come afferma il pediatra e gastroenterologo Ruggiero Francavilla: «l’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico con gli alimenti, determina una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che diventano più rappresentati; questa informazione genetica viene trasferita ad altri batteri anche patogeni».

In Italia l’Escherichia coli resiste agli antibiotici nel 14,6% dei casi; la Klebsiella pneumoniae e lo Staphylococcus aureus nel 29,7% e 34,1% dei casi. Questo dato è destinato ad aumentare impetuosamente ed entro il 2050 l’antimicrobico-resistenza potrebbe arrivare a causare 10 milioni di morti all’anno in tutto il mondo, secondo l’ONU.

Le cose devono cambiare

Negli ultimi anni gli sforzi delle istituzioni contro l’abuso di antibiotici sono aumentati. Gli specialisti ci ricordano che questi farmaci possono essere usati esclusivamente per il trattamento delle infezioni causate da batteri, e non per altri disturbi come una semplice tosse o raffreddore. Ci viene chiesto di utilizzarli soltanto su prescrizione medica e di seguire con accuratezza le indicazioni. Questa cautela è doverosa. Come abbiamo visto, gli antibiotici sono un salvavita e bisogna fare di tutto perché l’antibiotico resistenza rimanga un fenomeno limitato. Una domanda tuttavia sorge spontanea: perché tutta questa prudenza viene meno nel caso degli allevamenti intensivi? 

Noi chiediamo che le istituzioni mettano al centro delle loro iniziative la salute di tutti, animali compresi, perché gli allevamenti intensivi smettano di essere una minaccia per il benessere del pianeta.


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