I sussidi all’industria della carne stanno distruggendo il pianeta


Giacomo Vitali
Web content editor

Qual è il legame tra allevamenti intensivi, disboscamento dell’Amazzonia e finanziamenti dell’industria zootecnica?

Secondo un nuovo rapporto, il settore pubblico di tutti gli stati del mondo fornisce all’agricoltura e al settore zootecnico più di 1 milione di dollari di sussidi al minuto, finanziando per la maggior parte attività alla base di crisi climatica e distruzione della fauna selvatica.

Miliardi di dollari dati per sovvenzionare bestiame e deforestazione

deforestazione per produrre carne
Secondo Greenpeace Brazil tra agosto 2017 e luglio 2018 sono stati tagliati 1.885 miliardi di alberi in un’area dalle dimensioni di 987.500 campi da calcio.
© Ap photo

L’analisi dei sussidi contenuta nella relazione è stata effettuata dall’International Food Policy Research Institute utilizzando i dati dell’OCSE. Il rapporto include la maggior parte dei sussidi globali, basandosi su quelli di 51 nazioni.

Dallo studio risulta che solo l’1% dei 700 miliardi di dollari all’anno assegnati agli agricoltori viene utilizzato a beneficio dell’ambiente. Gran parte del totale invece promuove la produzione di bestiame, la distruzione delle foreste per ricavare pascoli o mangimi e l’inquinamento dovuto all’uso eccessivo di fertilizzanti.

Lo studio non vuole solamente mostrare i rischi futuri, cerca invece di indicare concretamente anche la strada da intraprendere per evitarli. Si afferma infatti che orientare i sussidi per una gestione del suolo che permetta l’assorbimento del carbonio, produrre cibo più sano, tagliare gli scarti e piantare alberi non solo sarebbe un’enorme beneficio per l’ambiente e il nostro futuro, ma vorrebbe dire persino ottenere vantaggi economici sul medio-lungo periodo.

Come evitare la crisi secondo lo studio

La relazione respinge l’idea che le sovvenzioni siano necessarie per equilibrare il prezzo del cibo e far sì che rimanga a costo accessibile per le famiglie. I danni collaterali a cui porta il sistema agricolo attuale causano costi di gran lunga superiori ai risparmi dei consumatori.

Produrre invece alimenti più sostenibili ridurrebbe effettivamente i prezzi dei prodotti alimentari man mano che migliorano le condizioni della terra.

Un cambio di passo in senso ecologico nella produzione di cibo e nell’utilizzo del suolo nel prossimo decennio potrebbe avere un ritorno sociale più di 15 volte superiore ai costi di investimento necessari, stimati a meno dello 0,5% del PIL globale.

Il passaggio a una produzione sana e sostenibile di cibo potrebbe infatti sbloccare 4,5 trilioni di dollari in nuove opportunità commerciali ogni anno entro il 2030.

Prima di tutto però i finanziamenti vanno convertiti.

I benefici della riforma dei sussidi sono già stati osservati in scala locale e in alcuni settori specifici.

Per esempio gli agricoltori dell’Unione Europea hanno ridotto del 17 per cento le emissioni di gas serra prodotte dai fertilizzanti mentre le rese sono aumentate. La Cina sta gradualmente eliminando il sostegno allo stesso tipo di sostanze. La Costa Rica vede un ritorno delle foreste dopo l’eliminazione dei sussidi al bestiame e lo stanziamento di finanziamenti per la conservazione dell’ambiente.

Ma il grosso va ancora fatto.

Gli studi sono sempre più numerosi e devono essere presi sul serio

Jeremy Oppenheim — direttore della Food and Land Use Coalition (Folu), l’insieme dei gruppi di ricerca alimentare, agricola e ambientale che hanno prodotto il nuovo rapporto — afferma:

«Continuare la strada attuale significa comportarsi come dei sonnambuli in uno scenario in cui i cambiamenti climatici minacciano sempre più la vita umana e la biodiversità, in cui le risorse naturali sono allo stremo, le persone soffrono sempre più di malattie indotte dall’alimentazione, la sicurezza alimentare viene compromessa e la povertà rischia di aumentare. Un percorso di questo tipo minaccerebbe, nel giro di pochi decenni, la nostra sicurezza collettiva».

Un rapporto precedente era giunto alla stessa conclusione rilevando lo spreco che comporta mangiare carne, uova e latticini ai ritmi attuali: rispetto a tutti gli alimenti che consumiamo quelli di origini animale utilizzano ben l’83% dei terreni agricoli, producono il 60% dei gas serra, dell’inquinamento idrico e di quello atmosferico mentre contribuiscono solo al 18% delle calorie e al 37% delle proteine.

Spesso oggi ci abituiamo alle brutte notizie e dopo qualche settimana che le vediamo ai telegiornali non ci facciamo più caso. Ma queste previsioni dovrebbero invece aiutarci a comprendere che si tratta di possibilità reali, probabili e che impatterebbero direttamente sullo stile di vita a cui siamo abituati.

Siamo ancora in tempo per cambiare: facciamolo per gli animali, per l’ambiente e per noi.