Il 50% dell’aria inquinata che respiriamo viene da allevamenti e riscaldamenti
Dall’ultimo studio Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, è molto chiaro che per ridurre le polveri sottili le giornate di blocchi delle auto non siano la soluzione. Sono infatti il riscaldamento e gli allevamenti i due principali settori a produrre l’inquinamento atmosferico.
Contribuendo rispettivamente al 38% e al 15,1% delle polveri liberate nell’aria. Industria e veicoli leggeri si fermano invece all’11% e al 9%. Ricordiamo che secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente nel 2015 in Europa l’esposizione a concentrazioni elevate di polveri sottili è stata responsabile della morte prematura di circa 442mila persone.

L’Italia in particolare è il secondo paese in Europa per decessi prematuri (il 7% circa di tutte le morti per cause naturali è imputato all’inquinamento atmosferico).
Come spiega anche Mario Contaldi, esperto dell’Ispra, per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo si deve quindi agire sugli allevamenti.
Perché lo studio ribalta i dati precedenti sull’inquinamento atmosferico
Fino a ora si considerava solo il particolato primario, ovvero emesso direttamente, come quello dei tubi di scappamento delle auto. In questo caso il contributo degli allevamenti intensivi è molto modesto. Ma le polveri si formano anche in atmosfera attraverso processi chimico-fisici tra particelle già presenti. Il prodotto di queste interazioni è il particolato secondario ed è qui che le percentuali degli allevamenti sono allarmanti. Gli esperti dell’Ispra infatti dichiarano: «Diventano centrali se si prende in considerazione anche il particolato secondario, ovvero quello derivante dalla produzione di ammoniaca che, liberata in atmosfera, si combina con altre componenti per generare proprio le polveri sottili».
Nel caso del nostro paese, se si considera che la quantità di ammoniaca prodotta da bovini, suini e ovini è quasi il 75% di quella prodotta in Italia, si capisce perché gli allevamenti siano così impattanti. A dover preoccupare è anche il fatto che il contributo degli allevamenti al particolato presente nell’aria che respiriamo ha continuato a salire negli ultimi anni (dal 10,2% nel 2000 al 15,1% nel 2016) e il trend non sembra essere in calo.
Le contromisure
Il problema è lampante: se per intervenire sul traffico si può bloccare la circolazione dei veicoli, o per ridurre l’effetto del riscaldamento si può limitare la temperatura interna, per agire sugli allevamenti bisogna mettere in atto azioni più complesse.
Nel nostro paese le prime linee guida per cercare di arginare questo tipo di inquinamento atmosferico risalgono al 2016. In particolare si è previsto il divieto di spandimento dei reflui zootecnici nei mesi invernali e la copertura delle vasche di raccolta dei reflui. «Le regioni stabiliscono questi divieti ma il problema sono i controlli. Gli allevamenti sono tanti e i controlli chi li fa? Inoltre il ministero dell’Ambiente dovrebbe fare delle linee guida a livello nazionale, perché lasciare le regioni e i comuni a gestire l’emergenza non è efficace». Così dichiara Daniela Cancelli di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.
Nessuno sembra inoltre andare alla radice del problema: gli allevamenti sono troppi. Campagne per indurre i consumatori a limitare carne, latticini e uova per il bene di tutti, dovrebbero essere alla base di qualsiasi politica ambientale che voglia davvero affrontare il problema.
La riduzione o ancora meglio l’eliminazione dei prodotti di origine animale è la soluzione più logica: non sono necessari, producono inquinamento, causano danni per la salute e provocano enormi sofferenze per gli animali.