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Negli allevamenti anche la riproduzione è una pratica violenta


Simone Montuschi
President

All’interno degli allevamenti intensivi, non c’è nulla di naturale. Luce, areazione, cibo: tutto è controllato e rigidamente scandito da processi produttivi volti al profitto e al minimo spreco.

Ciò vale anche per la riproduzione che da comportamento naturale è stata trasformata in una procedura industriale brutale.

Mucche

📷 © Essere Animali

A 15 mesi di età un vitello femmina è considerato pronto per l’inseminazione. Nei grandi allevamenti la fecondazione artificiale è la regola. Per questa operazione è necessario prima di tutto capire se la mucca è in calore o meno, per ottimizzare la produzione gli allevatori cercano di sincronizzare la riproduzione, per fare questo si servono di farmaci (prostoglandine). Una volta individuata la femmina in calore un operatore inserisce il seme all’interno della vagina della mucca con l’ausilio di una pistolette lunga circa 50 cm. Per “guidare” l’utensile fino all’utero l’operatore infila un braccio all’interno del retto della mucca.

Se si parla di mucche da latte, il loro destino è quello di diventare una doppia fabbrica: di latte e di vitelli. Addirittura se la neo-mamma è già stata ingravidata viene comunque affaticata mungendola fino al settimo mese (su circa nove di gestazione). Una volta partorito, la norma è togliere il vitello alla madre a poche ore dalla nascita per isolarlo in un box e avviare subito la mucca in “produzione”.

Coniglie

coniglio

📷 © Essere Animali

I conigli allo stato selvatico mostrano un ciclo stagionale di riproduzione tra febbraio e agosto.
Negli allevamenti dove l’etologia degli animali è stravolta si perseguono ritmi di riproduzione con accoppiamenti che vanno dai 10-12 giorni. Il numero di parti per fattrice all’anno è di circa 7-9.

Anche la coniglie vengono inseminate artificialmente, metodo più controllato e soprattutto più economico. Questa operazione totalmente snaturata consiste nel posizionare la femmina all’interno di un tubo di plastica per immobilizzarla, così da poterle immettere tramite siringhe o sonde il seme di un maschio preventivamente prelevato. Per raccogliere lo sperma viene in precedenza fatta montare a quest’ultimo una femmina artificiale.

Prima della somministrazione del seme, alle coniglie vengono spesso dati ormoni per stimolare l’ovulazione, favorire la riuscita del processo e rendere tutto il più efficace ed efficiente possibile.

In media i riproduttori, sia femmine che maschi vengono macellati all’età di 2 anni, quando la loro produttività inizia a calare e vengono quindi macellati e sostituiti con esemplari “nuovi”.

Galline e tacchine

📷 © Essere Animali

All’interno della catena di montaggio della produzione di uova, la domanda richiede così tanto ricambio di galline ovaiole che la riproduzione è addirittura affidata ad allevamenti specializzati. All’interno dei capannoni, simili a quelli degli allevamenti a terra, sono presenti femmine e riproduttori selezionati di sesso maschile in proporzione 6/7 a 1. Dentro la struttura sono posizionati dei nidi dentro ai quali le galline depongono le uova fecondate, raccolte quotidianamente e trasportate agli incubatoi. Il processo è analogo per la riproduzione di polli e tacchini.

Scrofe

maiale in gabbia

📷 © Essere Animali

Le scrofe destinate alla riproduzione vengono rinchiuse in gabbie singole di ferro in cui non riescono nemmeno a girarsi su se stesse. Per capire quando una femmina è in calore viene condotto un maiale maschio tra i corridoi. A questo punto un operatore insemina le femmine pronte per essere ingravidate inserendo il seme maschile attraverso una canula direttamente nella vagina dell’animale. Le scrofe rimangono in queste gabbie di gestazione almeno 28 giorni, il tempo necessario per accertare il loro stato di gravidanza.

Negli allevamenti intensivi i cuccioli vengono svezzati e allontanati dalla madre dopo 20-30 giorni, mentre in natura resterebbero insieme fino a 4 mesi dopo il parto. Raggiunto l’obiettivo, le scrofe vengono rimesse nelle gabbie di gestazione e inseminate nuovamente. Il ciclo si ripete in modo continuato fino a che la “macchina” fornisce un numero di porcellini adeguato. Mediamente dopo 4-6 parti all’età di circa 3 anni, la scrofa viene portata al macello e rimpiazzata.

Tutte queste mamme non sono macchine e i loro piccolo non sono prodotti.

Lasciare che si riproducano e che crescano i loro piccoli in modo naturale è possibile: un’alimentazione veg è un’alimentazione senza sfruttamento e senza sofferenza. Fallo per loro, fallo per gli animali.