Nel pesce mercurio e plastica oltre i limiti


Simone Montuschi
Presidente

I consumatori sono oggi più attenti alla loro salute rispetto al passato. Proprio per questo molti di loro hanno iniziato a limitare il consumo di carne sostituendolo con il pesce, considerato un alimento molto più sano. Ma è davvero così?

Quante volte si sente parlare del pesce come un alimento salubre, fonte di sostante positive per l’organismo come acidi grassi e omega 3? L’idea che il pesce sia un’alimento sano sta avendo sempre più consensi da parte dei consumatori, tanto che il consumo dei pesci è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni: solo in Italia, infatti, si è passati da un consumo pro capite di 20,9 kg all’anno ai 30,9 kg nel 2018.

Ma davvero il pesce è un alimento salutare?

Plastica e mercurio: cosa c’è nel pesce che viene mangiato?

Abbiamo già riportato in passato come, secondo uno studio della University of Ghent in Belgio, il pesce ingerito può far accumulare ad una persona fino a 11.000 particelle di materiale plastico all’anno. È stato stimato che nel 2050 nell’oceano ci sarà più plastica che pesce. Di questo passo, le persone che ne fanno un consumo costante potrebbero ritrovarsi in corpo 780,000 frammenti plastici ogni anno.

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Ciò che oggi viene invece rivelato da uno studio pubblicato su Scientific Reports  dai ricercatori dell’Università di Montreal è che l’assorbimento di mercurio attraverso il pescato è aumentato costantemente in tutto il mondo a livelli preoccupanti.

Le attività industriali continuano a rilasciare nell’atmosfera – e quindi attraverso la pioggia nel mare – quantità sempre più crescenti di mercurio. Ciò si va a sommare all’intensificazione della pesca e quindi del consumo del pesce contaminato.

Quali sono gli effetti del pesce sulla salute umana?

La presenza di plastica e mercurio nelle pesce è costituisce una minaccia per la salute umana. Tra il 2001 e il 2011, delle 175 nazioni considerate dallo studio, ben 66 sono state esposte a livelli di metil-mercurio superiori a 1,6 microgrammi per chilo di peso del consumatore alla settimana. Il problema è che superato questo valore, si è al di là dei limiti di sicurezza per lo sviluppo fetale, rischiando di danneggiarne soprattutto le funzioni superiori.

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Alcuni paradisi terrestri risultano i più colpiti, a conferma che gli effetti di questo fenomeno sono globali. Basti pensare che le Maldive sono le più esposte al problema, con 23 microgrammi.

Tra i paesi occidentali, l’Italia si situa all’ottantesimo posto, con un valore al di sotto di 1,3 microgrammi, meglio di Portogallo (3,4), Finlandia (2,6), Spagna (2,4), Francia (1,8) ma peggio della Gran Bretagna (1,1), della Germania e degli Stati Uniti (0,8).

Qual è la soluzione?

La convinzione diffusa che mangiare pesce sia fondamentale per la nostra salute è evidentemente errata. Mangiando pesce rischiamo di introdurre nel nostro organismo un’alta quantità di mercurio, coloranti, diossina ed agenti patogeni che annullano gli eventuali effetti benefici.

Inoltre, cosa non meno importante, anche i pesci sono in grado di provare dolore e paura. La pesca intensiva, oltre a portare gli oceani sull’orlo dello svuotamento, conduce questi animali innocenti ad una morte atroce e piena di sofferenza.

Senza alcun rischio e senza fare alcuna male a nessuno, possiamo invece assimilare, gli stessi nutrienti che acquisiremmo con il pesce attraverso alimenti vegetali. L’utilizzo in cucina dei semi di lino e dell’olio che si ricava da essi, della frutta secca come noci, mandorle e nocciole, permette infatti di integrare alla nostra dieta grassi omega 3 senza controindicazioni.