Mi sono infiltrata in un incubatoio di pulcini e ora vi racconto i miei incubi
Queste sono le toccanti parole che raccontano l’esperienza vissuta da Ambra, la nostra attivista che per diversi mesi ha lavorato in un incubatoio industriale, uno dei più grandi d’Italia. Grazie di cuore a tutte le persone che amplificheranno il suo coraggioso impegno in difesa degli animali.
Che cos’è un incubatoio?
Come può, un luogo in cui si schiudono delle uova e vengono al mondo dei pulcini, fare così paura?
Che cosa accade esattamente in un posto così?
Non avevo idea delle dinamiche, delle dimensioni, dei rumori e dei dettagli di quello che avrei potuto vivere in prima persona. Non sapevo con esattezza che cosa mi aspettasse.
«Questa non è una pasticceria», o «non coccoliamo i pulcini come si vede in tv» questo è ciò che mi è stato detto prima di entrare, ma che mai ha potuto prepararmi allo shock del mio primo ingresso all’interno dell’incubatoio.
Le porte si aprono, e mi sento immediatamente come se fossi stata lanciata in una dimensione parallela. L’odore e il frastuono sono talmente forti che mi sento subito disorientata. La prima cosa che vedo di fronte a me è il nastro trasportatore, letteralmente colmo di pulcini. Piccoli batuffoli gialli che cadono fuori da un grande macchinario e che, ammassati su un lungo nastro davanti ai miei occhi, vengono trasportati verso la stanza successiva. Ci sono dei macchinari rumorosi, delle luci al neon, delle ventole e dei carrelli, ma non riesco a sentire altro che quel fortissimo pigolio acuto e assordante che mi avrebbe accompagnata incessantemente, come non riesco a smettere di fissare quel rullo e tutti quei pulcini.
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Qualcuno mi mostra come è strutturato lo stabilimento. Passiamo velocemente da una zona all’altra e faccio fatica a concentrarmi mentre vengo sopraffatta dagli odori, dai rumori assordanti che risuonano nella mia testa, dal caldo infernale e dalla vista di tanti batuffoli gialli su quella catena di montaggio. Non riesco a staccare gli occhi dai pulcini agonizzanti negli angoli, pulcini a terra e pulcini schiacciati sul rullo o nei macchinari, nell’indifferenza. La “fabbrica di pulcini” è divisa per compartimenti. In un’area dell’incubatoio ci sono dei grandi stanzoni all’interno dei quali vengono incubate le uova fino alla schiusa, che avviene ogni giorno. I carrelli con le uova schiuse e i pulcini appena nati vengono ammassati in un’altra stanza, qui c’è un grande macchinario che separa i pulcini dalle uova. I pulcini vengono poi trasportati sul nastro nella stanza successiva, dove vengono divisi per sesso e vaccinati. Infine, lungo due nastri diversi, i maschi e le femmine vengono trasportati nell’ultima stanza della linea di produzione, nella quale vengono stipati dentro a delle cassette che verranno poi caricate sui camion. I numeri di produzione si aggirano intorno ai 300.000 pulcini mandati agli allevamenti di tutta Italia ogni giorno.
Ricordo il momento in cui ho preso in mano uno di quelle centinaia di migliaia di pulcini per la prima volta.
Così piccolo e fragile, «coraggio, non si rompe mica» mi dicono, mentre me lo strappano di mano e mi dicono come devo fare. Piccoli esseri così delicati vengono manipolati e trattati non meglio di un qualsiasi prodotto industriale. Così vengo lasciata in una stanza a “familiarizzare” con i pulcini e a imparare come manipolarli in velocità. Mentre mille pensieri mi scorrono nella mente, cerco di non pensare alla brutalità e alla sofferenza, e inizio a separare i pulcini, veloce, più veloce. Solamente quando avrò imparato potrò essere messa a lavorare in linea.
Il cosiddetto sessaggio avviene lungo un rullo circolare, dove le operatrici devono separare i maschi delle femmine lanciandoli in due tubi a imbuto che poi proseguono verso il reparto dei vaccini. Tutto è scandito da un tempo veloce oltre ogni immaginazione. In un minuto devono essere vaccinati circa un centinaio di pulcini.
Vengono schiacciati contro un dispositivo che attraverso un ago velocissimo inietta il vaccino nel collo dei pulcini, uno dietro l’altro. Durante questa operazione la velocità è più importante dell’accuratezza e tanti pulcini vengono colpiti nella spina vertebrale o feriti dall’ago, destinati poi a morire lentamente. Seppure questi “incidenti” non dovrebbero accadere, questo è meno importante del fatto di continuare a lavorare rapidamente e vaccinare così il maggior numero di pulcini possibile. Lungo l’intera linea, le operatrici devono eliminare gli “scarti”.
Pulcini malati, feriti o agonizzanti vengono lanciati in delle scatole che poi vengono svuotate all’interno del maceratore che trita i gusci delle uova ma anche i pulcini vivi che non possono essere spediti agli allevamenti. Tutto avviene con brutalità e non esistono attenzioni verso i pulcini.
I rumori sono talmente forti all’interno dello stabilimento che per catturare l’attenzione le operatrici si tirano addosso dei pulcini.
Vengono lanciati, strattonati, addirittura sbeffeggiati, in un’indifferenza forzata che permette alle operatrici di continuare nel loro lavoro. Le lavoratrici sono sottoposte a forti pressioni: non ci si può staccare dalla linea, non si può rimanere indietro, bisogna lavorare sempre più veloci. Me ne rendo conto quando inizio a lavorare in linea. I rulli sono sovraffollati, i pulcini che sono bloccati sotto agli altri vengono asfissiati, mentre altri cadono al di fuori dei rulli troppo pieni.
Cerco di liberare dei pulcini incastrati, o a fare spazio in maniera che non vengano schiacciati, ma vengo ripresa, «non c’è tempo per questo, fai il tuo lavoro e basta». Sopra ogni postazione c’è una luce per vedere meglio, fa caldo e da sotto la maschera che mi protegge dalla sporcizia e dalle piume o polveri continuo a lavorare. A intervalli molto irregolari, si fa “pulizia”. I pulcini caduti a terra o schiacciati sul pavimento vengono raccolti con dei bastoni e le casse con i pulcini scartati vengono svuotate, dopo ore di agonia. Sul pavimento i pulcini cercano di stare vicini per scaldarsi, mentre tremano e pigolano.
Li raccolgo e vorrei proteggerli da tutto quel dolore, ma sono costretta a buttarli via come degli scarti.
A rotazione, le operatrici vengono mandate a lavorare nella stanza in cui i pulcini sono separati dai gusci delle uova. Una macchina velocissima fa scorrere le casse contenenti le uova e i pulcini. Il lavoro consiste nel lanciare i pulcini lungo i rulli trasportatori mentre le uova vengono macerate e bagnate per ridurre la produzione di polveri. La macchina è così veloce che è impossibile separare tutti i pulcini, e tanti rimangono incastrati o vengono maciullati lungo il processo. La stanza è bagnata, e il pavimento è pieno di pulcini, schiacciati dai carrelli, feriti, o che muoiono annegati o di stenti.
Il maceratore è lo stesso che trita le uova e i pulcini scartati. «Poveretti, almeno questi smettono di soffrire» mi dice l’operatore, mentre rovescia una cassa di pulcini agonizzanti all’interno del trituratore.
Le operatrici e i lavoratori all’interno dello stabilimento sono costretti a mettere da parte i loro sentimenti e i loro istinti per poter lavorare. I pulcini sono costretti a soffrire atrocemente dai primi momenti in cui vengono al mondo. E il destino che li aspetta non è migliore… Come vorrei che questo non fosse necessario. Può la nostra società accettare tanta sofferenza e abuso verso gli animali? Il mio viaggio all’interno di questo luogo nascosto è qualcosa che non dimenticherò mai.
L’indagine ha avuto un forte clamore mediatico per questo sono fiduciosa che tutto il dolore che ho visto e sopportato sia entrato nelle case degli italiani e serva a modificare la percezione che abbiamo del cibo, il nostro obiettivo era quello di far conoscere questa tremenda realtà e spingere le persone a scelte alimentari più compassionevoli e rispettose verso gli animali.
Ambra, investigatrice di Essere Animali