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Tassa sulla carne? La svolta è più vicina del previsto


Simone Montuschi
President

Siamo arrivati a un punto di non ritorno, in cui una “meat tax”, ovvero una tassa sulla carne, appare a molti ormai inevitabile.

La FAO afferma che le emissioni di gas serra prodotte dagli allevamenti sono circa il 14,5% del totale mondiale. La stessa organizzazione prevede che il consumo globale di carne, a fronte della crescente domanda di paesi come India e Cina, aumenterà del 73% entro la metà del secolo. Secondo il Fairr – il fondo di investimenti londinese Farm Animal Investment Risk and Return – ciò potrebbe comportare fino a 1,6 trilioni di dollari in costi sanitari e ambientali per l’economia globale entro il 2050.

Maria Lettini, direttore del Fairr, afferma:

«con il progredire dell’accordo sul clima di Parigi, è molto probabile che vedremo un’azione del governo per ridurre l’impatto ambientale del settore zootecnico globale. Per come stanno ora le cose, c’è da aspettarsi una tassa sulla carne entro cinque o dieci anni».

Marco Springmann, del programma Martin Programme on the Future of Food dell’università di Oxford, la pensa alla stesso modo:

«gli attuali livelli di consumo di carne non sono né salutari né sostenibili. I costi associati a ciascuno di questi impatti potrebbero avvicinarsi ai trilioni in futuro. Una tassa sulla carne può essere un primo e importante provvedimento».

La carne potrebbe incontrare quindi lo stesso destino del tabacco, del carbone e dello zucchero, tassate in modo diverso in molte giurisdizioni. Le conseguenze di questi provvedimenti sui consumi sono state positive. Per esempio, secondo l’Istituto Nazionale della Salute Pubblica del Messico, quando il paese nel 2014 ha imposto una tassa speciale sulle bevande zuccherate, il consumo pro capite di questi prodotti si è abbassato del 6% nel 2014, dell’8% nel 2015 e dell’11% nella prima metà del 2016.

Già da due anni i legislatori in Danimarca, Germania, Cina e Svezia discutono sulla creazione di una tassa sulla carne, sebbene l’idea riscontri forti resistenze soprattutto perché si teme una ricaduta diretta sugli allevatori.

Anche per questo, il piano di sviluppo per le proteine sostenibili previsto dal Fairr, attualmente supportato da 57 investitori che complessivamente gestiscono 2,3 trilioni di dollari, prevede che le sedici più grandi multinazionali del cibo diversifichino le loro fonti di proteine, portando quindi ad una graduale riconversione alla base della produzione.

La prima analisi globale su una possibile tassa sulla carne effettuata nel 2016 ha valutato che i prelievi del 40% sui derivati del manzo, del 20% sugli alimenti lattiero caseari e del 8,5% su quelli di pollo avrebbe portato ad un risparmio di mezzo milione di vite all’anno e ridotto in modo significativo le emissioni.

Un’altra opportunità percorribile e già in atto per la diminuzione della produzione di carne è ovviamente quella di sostituire i derivati animali con prodotti vegetali equivalenti per gusto e aspetto, trend sempre più evidente soprattutto tra i millennials, spesso i più sensibili alle tematiche etiche e ambientali anche in Italia.

«Ci sono enormi opportunità nel mercato”, conferma Lettini “Se possiamo iniziare a sostituire le proteine animali con proteine a base vegetale che hanno lo stesso aspetto, gusto e consistenza della carne, che anche gli amanti della carne al sangue possano essere felici di gustare, allora stiamo cambiando il mondo».

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