Visoni: ridotte del 12% le uccisioni negli allevamenti italiani
Un calo di produzione e di animali presenti negli allevamenti italiani. Questo è quanto si evince dal sito FurEurope, coordinamento europeo degli allevatori di animali da pelliccia.
Dati attuali forniti dall’organizzazione di settore riportano per l’Italia la produzione di 160.000 pelli di visone e nessuna di cincillà e volpe. Fino all’anno scorso il numero fornito era di 180.000 visoni.
Se qualche anno fa la nascita di nuovi allevamenti sembrava difficile da frenare e il settore sul punto di espandersi rapidamente, col tempo possiamo dire di aver vinto almeno questa battaglia, arginandone la crescita. E non solo, si è riusciti a ridurlo e indebolirlo!
I numeri di FurEurope danno ragione al nostro impegno per bloccare la nascita di nuovi allevamenti e portare alla chiusura altri già attivi. E danno ragione a un’Italia dove ormai quasi la totalità della popolazione è contraria a questa attività.
Le nostre indagini
Nel febbraio 2013 abbiamo pubblicato Morire per una pelliccia, indagine durata 18 mesi e che mostrava per la prima volta immagini dall’interno degli allevamenti di visoni. Immagini che hanno fatto rapidamente il giro del web e sono state diffuse dai principali media. Soprattutto le scene dei visoni uccisi in camere a gas hanno sconvolto milioni di italiani.
Quella indagine ha sancito il lancio della campagna Visoni Liberi, finalizzata all’abolizione di tutti gli allevamenti di animali da pelliccia. Un obiettivo importante già raggiunto in altri paesi europei e che riteniamo un punto fondamentale per il movimento per i Diritti Animali, obiettivo di campagne di denuncia e sensibilizzazione da più di trent’anni.
L’investigazione è arrivata al momento giusto. Proprio in quel momento il settore degli allevatori italiani si stava riorganizzando, dandosi una maggiore struttura e cercando di espandersi. Negli anni precedenti i prezzi delle pelli alle aste internazionali erano saliti molto e gli allevatori stavano ampliando la loro presenza nell’est europeo. E anche in Italia il progetto era di non essere più un paese dalla produzione minoritaria.
Dal 2013 a oggi sono state ben 3 le investigazioni relative ai visoni che abbiamo pubblicato. E il livello di sensibilizzazione è cresciuto notevolmente, passando da un 75% a un 86% di italiani che secondo Eurispes si oppongono a questa pratica.
Bloccata l’espansione
L’AIAV, associazione allevatori di visone, aveva iniziato proprio in quel periodo una fitta campagna di pubblicità su riviste agrarie e destinate al mondo degli allevatori, proponendo la conversione ad allevamento di visoni con la promessa di grandi guadagni.
“Non rimane nulla di invenduto”, continuava a ripetere nelle interviste Giovanni Boccù, presidente dell’associazione. Come a dire che il mercato era florido e fonte di ricchezza e che gli italiani non disdegnassero affatto le pellicce (ma c’è da chiarire che le pelli italiane vanno praticamente tutte ad aste estere dove i principali acquirenti vengono da paesi come Russia, Cina e Hong Kong).
In quel momento sembrava che la ventina di allevamenti presenti, di cui conoscevamo e ne avevamo filmati 16, potessero rapidamente diventare di più, raddoppiare in pochi anni, rendendo sempre più difficile l’obiettivo di abolirli. Perché per i politici una cosa è fermare un settore molto piccolo, prevalentemente a conduzione familiare e che crea pochissima occupazione. Ben altra cosa abolire un settore in grande crescita e che genera introiti sempre maggiori.
Le campagne locali
L’allarme per i progetti di nuovi allevamenti in quegli anni è arrivato sempre più spesso, in Lombardia ma anche in Emilia Romagna. Puntuali anche le proteste, i contatti con le autorità comunali e con le Asl, le richieste di accesso agli atti, le petizioni e la nascita di comitati locali. E spesso ce l’abbiamo fatta, ottenendo rifiuti per l’apertura o ritardi tanto lunghi da far accantonare il progetto. Molti che ci hanno provato hanno solo perso soldi.
Importantissima è stata la nostra campagna per fermare l’apertura di un allevamento da 40.000 visoni, proposto per ben due volte, prima in provincia di Cremona e poi di Modena. Questo allevamento da solo avrebbe fatto lievitare il numero di animali uccisi in Italia con un +25%.
Ma non da meno sono state le opposizioni di politici locali e di cittadini, che le hanno tentate tutte in diversi casi per evitare l’installazione di gabbie e animali nei loro paesi.
Allevamenti chiusi
Nei primi anni ’90 in Italia erano registrati alla Camera di Commercio 125 allevamenti con una produzione annua di 400.000 pelli tra visone e volpe. Numeri molto diversi da quelli attuali. E nel tempo abbiamo visto tanti allevamenti, sia grandi che piccoli, chiudere i battenti e lasciare vuote le gabbie.
Lo scorso anno abbiamo documentato la chiusura e ottenuto ordine di abbattimento dell’allevamento di San Cataldo (MN), attivo per più di quaranta anni e che uccideva fino a 10.000 visoni. E più recentemente lo svuotamento di quello aperto senza permessi ad Antegnate (BG), dove abbiamo manifestato numerose volte.
E a testimonianza di un settore meno spavaldo non si vedono più gli annunci pubblicitari e persino il sito di Aiav non è più raggiungibile, rimandando per il settore allevamento alla generica AIP, associazione Italiana Pellicceria.
La situazione politica
Mentre l’Olanda ha confermato il suo divieto, che porterà alla chiusura di 160 allevamenti, anche Slovenia e Repubblica Ceca hanno recentemente vietato questa crudele forma di sfruttamento degli animali. In Italia invece, nonostante ampio appoggio a livello locale e regionale, non si è ancora arrivati a un simile risultato. Perché?
In questa legislatura sono state ben 3 le proposte di legge presentate al riguardo, tutte finalizzate all’abolizione degli allevamenti. E tutte bloccate nelle apposite Commissioni, mai arrivate al voto. Poche persone ostili all’idea animalista nel giusto posto sono riuscite a fermare leggi che trovano ampio consenso tra i cittadini.
E ora, con questa legislatura verso la fine del mandato, dovremo con tutta probabilità attendere la prossima e continuare da una parte il percorso legislativo, e dall’altra mantenere sempre alta l’attenzione sui media, tra la gente, nelle strade.
Abolire l’uccisione di animali per farne pellicce è un primo passo per un paese che voglia iniziare a eliminare le crudeltà verso gli animali. E ce la faremo.