Per chi ha deciso di intraprendere uno stile di vita amico degli animali esistono altri luoghi, oltre ai supermercati, dove è indispensabile controllare scrupolosamente le etichette: i negozi di abbigliamento. Oltre a quella alimentare infatti, anche questa industria nasconde purtroppo allevamenti intensivi e sofferenza.
Ecco cosa lasciare fuori dal proprio armadio e le alternative cruelty-free alle quali ancora non avevi pensato.
Pelliccia: da evitare per ovvie ragioni, è bene fare attenzione soprattutto ai piccoli inserti in maglie e giacche ma anche in oggetti come cappelli, portachiavi o accessori per capelli: non tutti sono sintetici.
Pelle: non è sempre vero che la pelle nasce come sottoprodotto dell’industria alimentare: la pelle ha un grosso peso economico nel valore di un animale e in molti casi gli animali vengono allevati appositamente per il settore dell’abbigliamento. Per abbigliamento e scarpe è sempre meglio optare per la lorica (finta pelle), pelle sintetica o alcantara.
Lana: come spesso accade nei processi industriali la tosatura è un procedimento veloce, quasi da catena di montaggio, che infligge alle pecore dolore e ferite. Private della loro naturale protezione contro le temperature invernali, sono esposte a freddo e malattie. Una pratica assai diffusa inoltre è il mulesing, che rappresenta un’ulteriore causa di sofferenze per questi animali. Una volta diminuita la quantità di lana che sono in grado di produrre, anche le pecore verranno inviate al macello. Alla lana preferisci capi in pile, flanella, velluto o cotone: in commercio ne esistono varietà caldissime, create apposta per affrontare l’inverno!
Seta: come alcuni sanno già, la seta non è un tessuto vegetale, bensì viene prodotta dagli insetti chiamati “bachi da seta”. Per estrarre la preziosa fibra dai loro bozzoli, i piccoli bachi vengono allevati e successivamente bolliti vivi.
Piume d’oca: molto richieste per la produzione di piumini e cappotti invernali, le piume d’oca sono il risultato dello spiumaggio, effettuato sulle oche a partire dalle otto settimane di vita e ripetuto fin quando possibile. Lo spiumaggio è una procedura dolorosa, che viene eseguita senza anestesia. Successivamente, le oche vengono macellate o sottoposte ad alimentazione forzata al fine di ricavarne il foie-gras, un alimento che ci stiamo impegnando a togliere da tutti gli scaffali.
Buone notizie: in commercio è facilissimo trovare giacche e trapunte con imbottitura sintetica!
Le materie prime dalle quali è possibile ricavare capi di abbigliamento senza crudeltà sono molteplici: i tessuti più conosciuti e accessibili sono cotone, lino, velluto, nylon e poliestere, ma di recente hanno fatto il loro ingresso -o ritorno- sul mercato anche altri filati, caratterizzati da un ridotto impatto ambientale e proprietà sorprendenti.
Canapa: La coltura della canapa, grazie alla sua capacità di allontanare le piante dannose, non richiede pesticidi né fertilizzanti chimici, il che ne fa un materiale di prim’ordine per l’agricoltura biologica. Molto usata in passato dalle nostre nonne, ha una consistenza simile al lino, al quale somiglia sia in termini di aspetto sia nella resistenza. Inoltre, questo tessuto respinge naturalmente le tarme!
Soia: la fibra di soia si ricava dagli scarti della produzione alimentare, attraverso un procedimento naturale che non richiede l’utilizzo di additivi chimici. È dotata di una incredibile morbidezza al tatto e caratterizzata da una lucentezza che lo rende simile alla seta, ed è allo stesso tempo molto resistente e confortevole sulla pelle.
Bamboo: Anche il processo di lavorazione del bamboo, date le sue speciali proprietà antibatteriche, non prevede l’aggiunta di additivi chimici durante la lavorazione. Oltre ad essere una fibra ecosostenibile e biodegradabile, dà vita ad un tessuto simile alla viscosa, altamente traspirante, allo stesso tempo leggero e resistente e con una naturale azione deodorante.
Modal: il Modal si ricava a partire dalla polpa di legno degli alberi, e costituisce una variante del rayon, ricavato invece dalla cellulosa. Per la loro provenienza vengono spesso classificate come “sintetico naturale” Il tessuto che se ne ricava è altamente assorbente, motivo per cui viene utilizzato anche per la produzione di biancheria per la casa. La nota positiva? Non ha bisogno di stiratura!
SeaCell: di ispirazione orientale, è molto resistente e combina la cellulosa delle alghe con quella di altre piante. Può essere trattato esattamente come il cotone. In più, a contatto con la pelle rilascia preziose sostanze antinfiammatorie, tonificanti e rimineralizzanti, proteggendo allo stesso tempo dai raggi UV e senza nessuna controindicazione
rPET o Poliestere riciclato: già da alcuni anni il riciclo delle comuni bottiglie di plastica prevede un riutilizzo nel settore dell’abbigliamento, diminuendo sensibilmente lo spreco di risorse non rinnovabili e la quantità di plastica smaltita nelle discariche. Incredibilmente, la produzione di rPET ha un’impronta ecologica del 50% inferiore a quella del cotone biologico!
Oltre a queste, esistono moltissime altre fibre naturali, nate dalla maggiore attenzione all’ambiente e al riutilizzo dei materiali di scarto. Più o meno conosciute, hanno tutte un minimo comune denominatore: essere amiche dell’ambiente e degli animali.
Effettuare acquisti consapevoli è il primo strumento per generare un reale cambiamento positivo. Controlla sempre le etichette!
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