In provincia di Brescia ci sono più maiali che abitanti
La Lombardia è la prima regione per numero di maiali allevati, ben 4.349.138, pari al 51% della produzione nazionale e al 0,5% di quella globale. In cima alla classifica c’è la Provincia Brescia con i suoi 2.167 allevamenti presenti sul territorio (IZS). Nonostante la recente notizia circa il drastico calo del numero di suini allevati nella regione, i numeri di animali impiegati nell’allevamento rimangono ancora troppo alti.
La provincia di Brescia è tra le più estese d’Italia con circa 1.264.152 abitanti (ISTAT). Ebbene, nel mese di marzo sono stati censiti 1.366.340 suini. Salta subito all’occhio che il numero complessivo della popolazione umana è inferiore a quello dei maiali allevati.
Ieri ci siamo presentati davanti a uno dei tanti allevamenti attivi in questa zona per un’azione simbolica che metta in luce la vastità del dolore inferto agli animali.
Le cifre stampate sui cartelli rappresentano il numero totale di maiali allevati nella provincia di Brescia, per ricordare ognuno degli individui direttamente coinvolti in questa continua e incessante produzione.
Ogni numero rappresenta
- una scrofa chiusa nella gabbia di gestazione dove le ridotte dimensioni di spazio non le permettono di deambulare, o nella zona parto dove le sbarre della gabbia le rendono impossibile di interagire coi propri piccoli.
- un suinetto di pochi giorni destinato a ingrassare fino a 160kg tanto da avere seri problemi alle zampe per il peso eccessivo.
- un verro tenuto per anni isolato in gabbia solo per prendergli il seme necessario alle gravidanze.
Guarda il video dell’azione
Il dato che emerge è sconcertante. Stiamo parlando di numeri davvero consistenti e la domanda spontanea dovrebbe essere: dove si trovano tutti questi animali? Nessuno al di fuori degli addetti ai lavori vede gli animali che a milioni finiscono sulle tavole degli italiani. Sono nascosti, invisibili.
Questo è il mondo degli allevamenti intensivi. Fabbriche dove gli animali sono rinchiusi a migliaia, fatti nascere, cresciuti e uccisi lontano dagli occhi delle persone. Con la nostra ultima indagine siamo riusciti a entrare e documentare le condizioni crudeli e violente di detenzione degli animali.
L’industria zootecnica oltre a causare sofferenze a milioni di animali, crea un forte impatto ambientale.
Gli allevamenti intensivi producono direttamente o indirettamente gas quali.
- Ammoniaca (NH3)
- Gas serra (GHC) che comprende: metano (CH4), protossido d’azoto (N2O) e anidride carbonica (CO2)
In Italia il 9,3% dei gas serra viene prodotto dall’agricoltura. In particolare, le emissioni contabilizzate sono quelle riguardanti la produzione di protossido di azoto, che rappresentano il 57% del settore, mentre quelle di metano sono il 43% del totale.
Nel 2001 solo la zootecnia lombarda ha prodotto l’80% delle emissioni generate dall’intero settore agricolo. Il settore zootecnico lombardo è la principale fonte di gas acidificanti, rispondendo per l’82% dell’ammoniaca emessa in Regione, e assume una posizione di rilievo anche come fonte emissiva di protossido d’azoto (50% del totale derivante dalle diverse fonti inquinanti) e di metano (42% del totale regionale).
I principali gas serra emessi dal settore zootecnico sono.
1) Metano (CH4) deriva dai processi di fermentazione enterica (gas prodotti durante la digestione) e dai processi di trasformazione – in particolare anaerobica – che avvengono nelle deiezioni; condizione che si verifica con maggior facilità negli allevamenti intensivi. In termini d’importanza il metano è il secondo gas responsabile dell’effetto serra dopo la CO2 ed è anche corresponsabile della riduzione dello strato di ozono. Le concentrazioni atmosferiche di metano sono ben inferiori a quelle di anidride carbonica ma il suo potenziale nei confronti del riscaldamento globale è notevolmente superiore.
2) Protossido di azoto (N2O) deriva dalla gestione delle deiezioni animali, dall’utilizzo di fertilizzanti azotati e da altre emissioni dei suoli agricoli. Il protossido di azoto è un gas responsabile sia dell’effetto serra che dell’assottigliamento dello strato di ozono. È presente in piccole quantità nell’atmosfera ed è, in ordine di importanza, il terzo gas serra, dopo anidride carbonica e metano. Tuttavia, il contributo dell’attività zootecnica è rilevante, circa il 63% deriverebbe dagli allevamenti.
Il protossido di azoto è un gas serra 298 volte più potente della CO2, il metano 25 volte, pertanto sono questi i fattori di moltiplicazione utilizzati per convertire le emissioni di N2O e di CH4 in corrispondenti unità di CO2-equivalente (CO2-eq), che è l’unità di misura per esprimere l’impronta del carbonio.
3) Ammoniaca (NH3) deriva dalle emissioni generate dai reflui zootecnici e dalle emissioni di fertilizzanti chimici impiegati per le coltivazioni destinate alla produzione dei mangimi.
La diffusione di ammoniaca nell’aria è responsabile del fenomeno delle piogge acide o deposizioni acide. Con il termine deposizioni acide si intende il processo attraverso il quale sostanze gassose di origine antropica si depositano nel suolo alterando le caratteristiche chimiche degli ecosistemi e compromettendo la funzionalità di acque, foreste e suoli.
4) Anidride carbonica (CO2) la zootecnia contribuisce alle emissioni di anidride carbonica rappresentate dall’uso di energia fossile ai fini della produzione e del trasporto di mezzi tecnici destinati all’allevamento, come mangimi, medicinali e attrezzature. Un’altra via indiretta attraverso la quale la zootecnia contribuisce alla produzione di CO2 è rappresentata dalla produzione industriale di erbicidi, antiparassitari e fertilizzanti, soprattutto azotati, per la coltivazione di foraggi e dei mangimi. Più della metà del mais prodotto a livello mondiale è impiegato per l’alimentazione degli animali e rappresenta una delle coltivazioni più avide di azoto. A questo va aggiunta la CO2 emessa dall’impiego di combustibili fossili ed energia elettrica per le operazioni colturali, sempre ai fini della produzione di alimenti per il bestiame. Inoltre, anche il trasporto degli animali verso i macelli, la lavorazione degli stessi, il trasporto fino alla distribuzione e lo stoccaggio hanno costi energetici considerevoli per la richiesta di combustibili fossili o di energia elettrica.
Qualità dell’aria in Lombardia
Queste mappe sono presenti sul sito dell’ARPA e indicano le emissioni di Ossidi di azoto, Ammoniaca e Gas serra per Km2 rilevate in Lombardia.
È subito evidente che le aree più critiche sono quelle localizzate in corrispondenza delle zone dove è più alta la presenza di allevamenti di bovini e suini.
Inquinamento delle acque
Una delle maggiori problematiche ambientali dell’allevamento intensivo riguarda il rischio di inquinamento delle acque superficiali e di falda da parte degli spargimenti dei reflui, soprattutto azoto/nitrati e fosforo, con i conseguenti fenomeni di eutrofizzazione. I nitrati sono presenti anche nei fertilizzanti utilizzati nelle coltivazioni intensive che richiedono alti tassi di azoto.
Se la concentrazione di nitrati nel terreno raggiunge livelli elevati, questi non vengono trattenuti dal terreno e possono essere facilmente dilavati ed andare ad inquinare le falde (lisciviazione dei nitrati). Guardando il grafico estrapolato dalla ricerca dell’ISPRA uscita nel 2015 riguardo “La contaminazione da nitrati nelle acque” si nota che i valori più alti di nitrato presenti nelle falde sono di origine zootecnica e sono stati registrati sui prelievi effettuati in Bassa padana nelle province di Brescia, Mantova e Cremona rispettivamente prima, seconda e terza provincia con il più alto numero di maiali allevati in Italia.
Una concentrazione elevata di nitrati nelle acque può essere tossica, sia per l’uomo che per gli animali. L’OMS ha fissato il limite della concentrazione di nitrati nelle acque potabili a 50 mg/l.
Impatto ambientale per la produzione dei mangimi
Il mais è la coltivazione più diffusa nella pianura padana. Il 90% del raccolto italiano viene impiegato come “feed” e pertanto è destinato all’alimentazione degli animali.
Dal rapporto ISPRA “Pesticidi nelle acque”, pubblicato a maggio 2016 emerge che in gran parte dei fossi e delle acque sotterranee della Bassa bresciana c’è una presenza allarmante di insetticidi ed erbicidi, quelli utilizzati nell’agricoltura intensiva, soprattutto nella coltura del mais. Preoccupante è anche la presenza di glifosate e del suo metabolita, erbicida dichiarato potenzialmente cancerogeno dalla Iarc nel marzo 2015.
Consumi idrici e impronta carbonica
Per i maiali si stima un consumo medio per capo di 70 litri di acqua al giorno, comprensivi anche della quota utilizzata per le operazioni di pulizia dell’allevamento .
Ecco l’impronta carbonica della carne e quella di alcuni cibi vegetali.
Impronta di carbonio per ogni Kg di
- Carne di maiale 2,44
- Salumi 5,05
- Riso 0,35
- Legumi 0,78
- Zucchine 0,35
La Carbon footprint (impronta di carbonio) è una misura che esprime il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, a unindividuo o a un servizio.. Viene così misurato l’impatto che tali emissioni hanno sui cambiamenti climatici di origine antropica. La carbon footprint è espressa in termini di kg di CO2e (CO2 equivalente).
Note
L’eutrofizzazione è il fenomeno di eccessivo accrescimento di alghe e piante acquatiche con conseguente rottura degli equilibri presenti e deterioramento dell’ecosistema. Può provocare la moria dei pesci per assenza di ossigeno nell’acqua.