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Resistenza agli antibiotici, la FAO rilancia l’allarme


Simone Montuschi
President

Gli agenti patogeni (batteri, funghi e parassiti) sono sempre più resistenti agli antibiotici a nostra disposizione e l’utilizzo massiccio che se ne fa negli allevamenti intensivi non fa altro che peggiorare il problema, favorendo la proliferazione e il passaggio all’uomo di nuove malattie. Un incubo più reale di quanto si pensi, tenuto conto che tra le 10 malattie umane scoperte di recente 7 sono di origine animale.
Si tratta di un problema noto da tempo e sollevato dalla FAO già nel 2013, con il rapporto World Livestock 2013: Changing Landscapes Disease, dove si evidenziava che «di tanto in tanto si verificano grandi epidemie, quando un agente patogeno esegue un salto di virulenza, sfugge ai vaccini utilizzati, acquisisce resistenza agli antibiotici, e viaggia lungo la catena alimentare». Uno scenario visto più volte negli ultimi anni, dall’influenza aviaria all’epidemia di virus ebola nell’Africa sub-sahariana. In entrambi i casi l’epidemia si è diffusa tra gli animali e poi è stata trasmessa all’uomo, arrivando ad un passo dal diventare una pandemia.

Queste ultime malattie sono state fortunatamente contenute e fanno meno paura ma nei mesi di massima diffusione hanno lasciato migliaia di morti nei paesi più colpiti e milioni di animali uccisi negli allevamenti, spesso in via preventiva su ordine della autorità sanitarie, per evitare il contagio.

Questo mercoledì si è svolto ad Amsterdam un convegno alla presenza dei ministri della salute e dell’agricoltura europei dedicato proprio alla resistenza agli antibiotici sul nostro continente e alle possibili soluzioni. Vi ha preso parte anche la direttrice generale aggiunta della FAO, Maria Helena Semedo, la quale nel suo intervento ha ribadito senza mezzi termini che siamo di fronte a una «emergente minaccia che pesa sulla salute pubblica e necessita di uno sforzo coordinato a livello mondiale per lottare contro i rischi che rappresenta per la sicurezza alimentare».

Nonostante negli ultimi anni il consumo di antibiotici per scopo zootecnico sia ufficialmente disincentivato e limitato anche per legge (che ne vieta l’uso preventivo), il loro utilizzo resta in gran parte ineliminabile, tenuto conto che le condizioni di sovraffollamento e di promiscuità in cui vivono gli animali in questi luoghi lo rendono una necessità, anche al fine di prevenire il diffondersi di malattie. La situazione è drammatica al punto che Vytenis Andriukaitis, il Commissario UE per Salute e Sicurezza Alimentare, ha dichiarato che «ogni anno nell’Unione Europea le infezioni causate dalla resistenza agli antibiotici portano a circa 25.000 decessi». Il fenomeno è in aumento e negli allevamenti di polli ad esempio sono già stati riscontarti ceppi di salmonella ed escherichia coli resistenti a tutti i medicinali in commercio.

I virus quindi si evolvono più velocemente della nostra capacità di sviluppare nuovi vaccini. Ciò vuol dire che presto queste malattie potrebbero non essere curabili anche negli ospedali. Una costante minaccia con la quale dovremo fare i conti finché esisteranno gli allevamenti intensivi.