Occupato allevamento di visoni a Modena
Lunedì 30 novembre di prima mattina ci siamo introdotti all’interno dell’allevamento di visoni di Fossoli (MO) per occupare la struttura. In pochi minuti due persone sono salite sul tetto e altre quattro si sono incatenate sotto alle gabbie che contengono gli animali.
Un’azione spettacolare durata quasi 5 ore, realizzata dai nostri attivisti per impedire l’uccisione dei visoni, che proprio in questi giorni sono destinati ad essere soffocati nella camera a gas, e per chiedere al Governo di vietare con urgenza gli allevamenti di animali da pelliccia, obiettivo della nostra campagna Visoni Liberi.
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Tre Proposte di Legge sono infatti da tempo in attesa di essere calendarizzate dalle Commissioni Parlamentari ma, nonostante oltre il 90% della popolazione sia favorevole all’abolizione di questa crudele pratica, l’indifferenza delle Istituzioni ha condannato anche quest’anno 180.000 visoni ad una morte atroce.
I principali media nazionali hanno parlato di questa azione di disobbedienza civile. Le immagini foto e video di attivisti sul tetto e di quelli incatenati sotto alle gabbie sono state diffuse su Repubblica, Corriere, Resto del Carlino, TGR Emilia Romagna, Ansa e numerosi canali tv e online regionali e locali. L’azione oggi è finita inoltre in prima pagina sulla Gazzetta di Modena.
Lo scopo è stato raggiunto: volevamo riaprire un dibattito pubblico e ci siamo riusciti. Ma l’effetto più importante è forse stato su di noi: abbiamo incontrato gli sguardi dei visoni a pochi cm di distanza e adesso sappiamo che non possiamo lasciarli lì senza impegnarci ancora di più a far chiudere tutti gli allevamenti!
L’azione eclatante di ieri è solo la prima: nei prossimi mesi metteremo in atto molte altre azioni e iniziative per alimentare la discussione sui media e nei palazzi della politica, aumentare la pressione e spingere ad un divieto che possa fermare per sempre questo orrore. Lo dobbiamo anche a tutti quei visoni che abbiamo visto lunedì.
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Cosa significa entrare in un allevamento e compiere un’azione di disobbedienza civile come questa?
Ecco le testimonianze dirette dei 6 attivisti che hanno occupato direttamente l’allevamento
Alice
I primi attimi sono stati lunghissimi. Appena entrati cercavo lo sguardo dei miei compagni per capire se stava andando tutto bene e guardavo gli altri attivisti che erano al di fuori della recinzione e che ci sostenevano; scrutavo le espressioni rabbiose degli allevatori e nelle vicinanze quella un po’ sorpresa del loro cagnolino, incuriosito dalla nostra presenza ma non abbastanza coraggioso da avvicinarsi a noi. Poi mi sono accorta di tantissimi piccoli occhi lucidi che mi osservavano: erano a pochi centimetri da me. Zampette bagnate appoggiate sulla grata da cui usciva il folto pelo bianco. Per tutto il tempo che siamo stati lì i visoni non hanno fatto altro che andare avanti e indietro ritmicamente, come impazziti. Siamo rimasti quasi 5 ore accovacciati e allucchettati sotto le loro gabbie, negli escrementi e nei residui di cibo putrefatto, bagnati e infreddoliti. Nulla in confronto alla loro misera vita lì dentro.
In quella gelida e nebbiosa mattina di novembre, dentro a quel posto orribile, i tiepidi raggi del sole non sono riusciti a riscaldarci gli animi e me ne sono andata triste e sconfitta al pensiero di doverli lasciare tutti lì. Ma ora, pensare che la nostra è stata un’azione importante e significativa per la campagna Visoni Liberi e potrà contribuire alla chiusura degli allevamenti di animali da pelliccia mi riempie il cuore di gioia.
Brenda
Scendi dalla macchina, corri, salta, sali, lanciati (e cadi) corri, trova il palo infilati sotto, intubiamoci, tac allucchettati, un cagnolino abbaia e ci viene incontro, se ne sono accorti… stanno arrivando. Ivano stringiamoci forti le mani e non lasciamocele mai! Sguardo d’intesa attarverso le fitte ragnatele… ce l’abbiamo fatta!!
Passa l’adrenalina, quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, ora prendo realmente consapevolezza di dove sono: l’odore inconfondibile, sopra di me file di gabbie minuscole e fatiscenti con all’interno meravigliosi visoni bianchi, uno per gabbia in questo capanno. Incuriositi escono e ci studiano. Quello sopra di me sembra assonnato, con gli occhi semichiusi spinge il musino tra le grate per arrivare ad annusarmi, ritorna nel nido, ma ri-esce, mi studia e mi osserva tranquillo, non spaventato, ma attirato da questa novità. Non sembra un adulto, probabilmente è uno dei nati ad aprile/maggio, uno di quelli recentemente selezionati a diventare un riproduttore o per concludere la sua vita tra qualche giorno. Quello sopra la testa di Ivan è più temerario: riesce ad arrivare al suo cappuccio e glielo tira con i denti. Il vederci lì sotto sarà uno dei pochi stimoli che questi animali avranno nella loro vita.
Nel capanno di fianco, alla nostra destra, i visoni, sempre bianchi, sono 3 o 4 per gabbia. i movimenti stereotipati sono praticamente incessanti, come se per ogni movimento dovessero ricontrollare di non essersi fatti scappare un varco o uno spiraglio per poter oltrepassare quel mondo fatto di rete metallica, ma il varco purtroppo non c’è e i movimenti si ripetono all’infinito.
Passano le ore e almeno sopra le nostre teste si fa calma per un po’, sembra che i visoni della nostra fila, almeno i pochi che riusciamo a vedere e sentire, si stiano godendo il sole tiepido che li scalda e li coccola, forse. Lo stesso tiepido sole che in qualche modo da una forza in più anche a noi di continuare a resistere lì sotto per qualche ora ancora. Le loro zampine sono sempre a contatto con le grate, gli vedo i polpastrelli rosa, piccoli e bellissimi, gli vedo le unghiette, gli occhietti, il nasino, i lunghi baffi, vedo il suo meraviglioso e candido manto che lo ha condannato a questa vita. Vedo la sua voglia di libertà.
Che vita può essere questa vissuta in pochi centimetri quadrati?
Quante centinaia di migliaia di vite sprecate si sono susseguite in queste gabbie?
Dagli anni ’60 in questo posto, sotto questi capanni ricoperti di tettoie di eternit, su questo terreno, sotto questo cielo succede ciclicamente un strage, succede che migliaia di animali siano rinchiusi fatti nascere per essere uccisi e scuoiati, ma quanti esattamente? Inimmaginabili…
Queste domande mi tormentano. Ogni volta che guardo quegli occhi inconsapevoli dietro alle sbarre mi spezzo sempre di più al pensiero di quanti ne ho incontrati, a quanti ne ho persi, a quanti di loro non ho potuto dare le attenzioni che si sarebbero meritati almeno da parte di qualcuno. Chissà per quanto potrò ancora immaginare quel visone sopra alla mia testa ancora in vita. Penso all’agonia che lo aspetta, una non-vita spezzata lentamente da una morte soffocante in una camera a gas.
Non ho potuto dare una possibilità di libertà concreta a lui o lei, a nessuno di loro, li ho abbandonati al loro destino. Consapevole di questo e con questo enorme e difficile peso da digerire mi sgancio, l’ultimo sguardo a lui, a lei, a loro, mi dispiace, perdonatemi. e vengo accompagnata verso l’uscita.
Cico
Quello che abbiamo fatto è stata una grande esperienza, sia per l’azione compiuta, sia per l’emozione di essermi sentito tutt’uno con tutti gli altri ragazzi che hanno partecipato.
Quando sono salito sul furgone per il breve tragitto finale, compresso insieme a buona parte della squadra e le scale, senza riuscire quasi a muovere neanche la testa, avevo la sensazione di trovarmi in una situazione surreale, confuso da pensieri, dubbi e timori. Poi il furgone si è fermato, si sono aperte le portiere e quando tutti siamo schizzati fuori anche la mia testa si è fermata.
L’unico pensiero era di non sbagliare nulla di ciò che avevamo programmato e provato e arrivare su quel tetto al più presto possibile. Non ho cronometrato, ma penso che in meno di un minuto avevamo oltrepassato il fossato, scavalcato la rete con le scale ed eravamo tutti e sei nella postazione stabilita.
Appena sistematomi nella mia posizione mi sono guardato attorno e dopo aver visto anche gli altri ai loro posti tutta la tensione se ne era proprio andata… c’eravamo riusciti nonostante le innumerevoli incognite e non ci saremmo mossi di li per parecchio tempo. L’adrenalina aveva lasciato spazio alla felicità, la felicità di poter dare spazio e visibilità alla sofferenza delle migliaia di esseri viventi senzienti che si trovavano sotto di me e negli altri allevamenti. Finalmente si sarebbe parlato un po’ di loro.
Per molte ore sono stato a pochi metri da decine di visoni ed è stato veramente doloroso vedere in un modo così chiaro quanto stessero soffrendo. Minuto dopo minuto. Un susseguirsi ininterrotto della ricerca di un buco dal quale fuggire e infiniti movimenti stereotipati causati da disturbi mentali per via della detenzione in quelle minuscole gabbie. Pensare che anche galline, maiali e tutti gli altri miliardi di animali negli allevamenti intensivi vivono, se si può chiamare vita, nello stesso modo. Straziante. Lacerante. E ancora più doloroso sapere che comunque fossero andate le cose, nulla avremmo potuto fare per loro e che li avremmo dovuti lasciare li al loro destino. Anche l’idea del riscatto di qualcuno di loro, che mi è passata per la testa, sarebbe stata irrealizzabile, vista la forte rabbia degli allevatori.
E così quando sono sceso non mi è restato che il pensiero di voler continuare a fare ciò che ho fatto per far si che dopo di loro ci siano meno generazioni possibile nelle loro stesse condizioni, perché sono sicuro che prima o poi questa cosa finirà. Penso che la disobbedienza civile pacifica sia una delle armi più forti per far si che succeda al più presto, perché attira l’attenzione dei media che a loro volta riversano la notizia capillarmente ovunque, mettendo in luce ciò di cui mai nessuno vuole parlare, o ne parla distorcendo la verità.
Francesca
In questi ultimi anni ho affermato tante volte di essere dalla parte degli animali. Ma nella mattina di lunedì 30 novembre, nel momento in cui scavalcavo la recinzione dell’allevamento di Fossoli e salivo sul tetto di uno dei capanni, è sparita anche la barriera fisica che mi teneva lontana dalle migliaia di visoni rinchiusi all’interno di quel luogo.
Siamo entrati nell’allevamento velocemente ma in silenzio in modo che tutto si svolgesse in sicurezza prima dell’arrivo degli allevatori. Arrivata sul tetto qualche secondo mi è servito per trovare l’equilibrio e assettarmi sulla cima, poi mi sono guardata attorno per controllare che anche i miei 5 compagni stessero bene. A quel punto ho potuto avere una visione inedita di quel luogo. La visuale dal bordo della strada non mi ha mai reso l’idea di quanto in realtà questi capannoni fossero lunghi, in automatico ho pensato a tutti gli animali che stavano sotto di me, in quel momento ci separavano solo pochi metri e la sottile copertura del tetto ma da sempre ciò che ci allontanava era il fatto di appartenere ad una specie diversa, la loro natura di “essere animali” non umani è allo stesso tempo la loro condanna. Da dove ero seduta vedevo bene il candido manto, il nasino rosa e gli occhietti scuri dei visoni che si agitavano con movimenti stereotipati nelle strettissime gabbie, evidente prova di malessere nel vivere in condizioni innaturali. Ogni anno nella stagione fredda migliaia di esseri viventi nati e cresciuti in prigionia trovano la morte in anguste camere a gas per poi essere scuoiati. Razionalizzare in questo modo la loro condanna a morte mi fa provare un grande senso di impotenza e le lacrime faticano a trovare un freno, ma poi inizio a sperare in un cambiamento del modo in cui l’umanità si interfaccia con gli altri esseri viventi.
Una pacifica azione di disobbedienza civile in pieno giorno per richiamare l’attenzione del nostro paese sugli allevamenti di animali da pelliccia, è questo che è accaduto l’altro giorno. Non smetterò mai di essere dalla parte dei più deboli e fino a quando ce ne sarà bisogno darò il mio impegno concreto e diretto assieme a tutte le altre persone che come me credono in un mondo migliore, credono nel cambiamento. Risalirei su quel tetto domani stesso, ma in cuor mio spero che in un giorno non troppo lontano “quei tetti” non esistano più.
Ivan
Per arrivare all’allevamento di visoni siamo dovuti passare davanti l’ex campo di concentramento e transito di Fossoli, che dista pochi km. Un luogo costruito sulle fondamenta della discriminazione, un luogo che toglieva la libertà, che imprigionava e alla fine uccideva. Ora sono rimaste solo le mura. Un’immagine dirompente, che ci ha dato speranza e maggior determinazione nel compiere la nostra azione e nell’impegnarci con tutte le nostre forze per far chiudere anche gli altri luoghi di prigionia, dove altri esseri senzienti vengono considerati inferiori, diversi, dove è normale e lecito rubare la vita, dove viene annullato l’individuo, luoghi dove la morte è l’unica via di fuga: gli allevamenti di animali. La speranza è che un giorno gli allevamenti di visoni e di qualsiasi altro animale verranno considerati soltanto un brutto ricordo, esattamente come oggi ricordiamo i campi di concentramento.
Speriamo in un futuro che non sappia di passato.
Serena
Siamo sotto le gabbie incatenate e sopra di noi piccoli visoni candidi ci guardano curiosi. Siamo qui per loro, ma riusciremo solamente a ritardare la loro esecuzione. Abbiamo condiviso per quasi 5 ore lo stesso lurido posto e la stessa frustrazione, sofferto con loro e imparato a memoria i loro movimenti per cercare di uscire da quelle gabbie verso la libertà che non avranno mai…siamo qui per loro, ma alla fine abbiamo dovuto lasciarli…
È profondamente ingiusto, ma lo sconforto che mi ha accompagnato mentre uscivo dall’allevamento mi stimola invece a continuare a lottare per tutte queste creature alle quali viene negato il diritto di vivere.