Sperimentazione animale, lieve flessione nei numeri


Simone Montuschi
President

Pochi giorni fa sono stati pubblicati i dati statistici sul numero di animali utilizzati in Italia per la sperimentazione animale nel triennio 2010-2012. Si tratta di informazioni ricavate sulla base delle richieste di nuove sperimentazioni che provengono al Ministero della Salute e agli aggiornamenti annuali forniti dai responsabili dei laboratori.

Ciò che emerge con chiarezza confrontando questi dati con quelli diffusi in precedenza, è che il numero totale degli animali negli stabulari è lievemente diminuito, passando dai 908.002 del 2007 ai 768.796 del 2012 (un calo del 15% circa).

SA-Serie-storica

Purtroppo va precisato che si tratta di una riduzione in gran parte dovuta all’impatto della crisi economica sui budget dei centri di ricerca e non a una presa di coscienza etica della comunità scientifica. È bene sottolineare, inoltre, che fino allo scorso anno era in vigore la precedente disciplina legislativa risalente al 1992. La nuova direttiva europea entrata in vigore in Italia nel 2014 incentiva, almeno sulla carta, il ricorso a metodi alternativi e sostitutivi. È necessario quindi attendere alcuni anni per valutare gli effetti di questo cambiamento normativo.

Al momento, ciò che appare evidente da quest’ultima serie di dati disponibili è l’aumento nell’utilizzo di pesci, più che raddoppiati dal 2010 al 2012; questo exploit si spiega proprio con l’esigenza di tagliare i costi, sostituendo altre specie più costose e complesse da stabulare. Si segnala il calo nel numero di cani, passati dai 1.021 del 2007 ai 550 del 2012 e quindi quasi dimezzati, mentre è più consistente la riduzione del numero di topi e ratti, che restano tuttavia di gran lunga le specie più utilizzate (anche se sono stati in piccola parte sostituiti da altri tipi di roditori). Resta stabile invece il numero di primati utilizzati.

DatiSA2010-1011-2012

A guardare queste cifre, una cosa è certa: la sperimentazione animale è ancora lontana dall’essere abbandonata e il tendenziale meccanismo di sostituzione che la legge impone si scontra purtroppo con l’abitudine dei ricercatori di continuare ad utilizzare gli stessi metodi tramandati da generazioni e con i deficit nello studio e nella conoscenza delle metodologie alternative e sostitutive, al cui utilizzo i ricercatori non sono preparati.