Processo a Green Hill: condannati i vertici


Simone Montuschi
President

GREEN HILL, CONDANNATI I VERTICI

Il processo ai vertici di Green Hill s’è chiuso stamattina in primo grado a Brescia con la condanna di tre dei quattro imputati, riconosciuti responsabili dei maltrattamenti e delle soppressioni all’interno dell’allevamento.

Al di là delle pene che sono irrisorie, la cosa più rilevante è che una volta accertati i reati per gli affidatari degli oltre 2.600 cani sequestrati dall’allevamento vi è tranquillità di non dover risarcire la Marshall per il mancato guadagno.

È utile ripercorrere brevemente le tappe che hanno portato a questa giornata. La campagna per chiudere l’allevamento di cani beagle di Montichiari (BS) è nata nel 2010 su spinta del Coordinamento Fermare Green Hill, formato da parte degli stessi attivisti che avevano vinto la battaglia per chiudere Morini, altro allevamento di cani beagle e roditori per la vivisezione. La campagna ha contribuito a far nascere anche un Comitato locale e coinvolto decine di migliaia di persone in tutta Italia e anche dall’estero, con cortei di protesta, una strategia mirata e una pressione senza precedenti.
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Tra i momenti da ricordare in questa storica battaglia sicuramente l’occupazione del tetto di Green Hill, avvenuta il 14 ottobre 2011.  Cinque attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill riuscivano a penetrare nell’allevamento, occupando il tetto di uno dei capannoni per 30 ore, contribuendo così a far conoscere cosa accadeva sotto i loro piedi. Ma indimenticabile rimane anche la data del 28 aprile 2012 quando durante una manifestazione molte persone riuscirono ad entrare nell’allevamento liberando 70 cani. L’immagine della folla che si passa un cucciolo attraverso il filo spinato ha fatto il giro del mondo, diventando un simbolo della lotta senza quartiere per dare libertà agli animali.
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Dopo decine di segnalazioni, ispezioni e una precedente indagine archiviata, finalmente il 18 luglio del 2012 la Forestale ispeziona l’allevamento e su ordine della Procura di Brescia mette sotto sequestro la struttura e gli oltre 2.600 beagle presenti, iscrivendo nel registro degli indagati i gestori e il veterinario. I cani vengono sequestrati e affidati a LAV e Legambiente e in meno di un mese, grazie anche allo sforzo di associazioni come Vitadacani Onlus, vengono affidati alle famiglie che ne fanno richiesta. Nel febbraio 2012 la Cassazione conferma il sequestro e le famiglie possono tirare un sospiro di sollievo, i cani non torneranno mai più in quel luogo orribile.
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Il mese successivo entra in vigore la nuova legge sulla sperimentazione animale, che vieta di allevare cani, gatti e primati da destinare ai laboratori. Viene quindi definitivamente meno la possibilità che l’allevamento di Montichiari possa riaprire. Si segna così un altro precedente storico.

La prima udienza del processo ai vertici di Green Hill si svolge il 23 giugno 2014 e vede imputati Bernard Gotti e Ghislane Rondot, co-gestori dell’allevamento, insieme al direttore Roberto Bravi e al veterinario Renzo Graziosi, tutti accusati di maltrattamento e di uccisione di animali (artt. 544-bis e 544-ter del codice penale).

I capi di imputazione sono chiari:
▸   maltrattamento, per aver sottoposto i cani a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, che avevano determinato le numerose anomalie riscontrate nell’ispezione del 18 luglio 2012: paura, ansia, stereotipie, comportamenti ridiretti e stato di stress cronico.
▸   uccisione di animali, per aver soppresso i cani non più vendibili, evitando perdite economiche all’azienda.

Il 29 ottobre si entra nel vivo con l’ammissione delle parti civili e la presentazione delle prime prove da parte della pubblica accusa, che dimostrano che a Green Hill i cani non recuperabili venivano soppressi. Si parla di oltre 6.000 cani in pochi anni. La difesa insinua che la mortalità dei cani liberati sia stata maggiore che dentro l’allevamento ma alle udienze successive questa viene puntualmente smentita dalle parti civili, che depositano gli elenchi dei cani sequestrati, affidati e morti, dimostrando che la mortalità dopo il sequestro è stata praticamente nulla.

Il 19 e 26 novembre 2014 vengono ascoltati i testimoni della difesa, tra cui veterinari ASL e altri funzionari pubblici oltre ai dipendenti di Green Hill, consulenti tecnici e docenti universitari. Si tratta di testimonianze evasive e contraddittorie, che rafforzano la visione dell’accusa.

Il 22 dicembre viene sentito il veterinario Moriconi e i consulenti della difesa sulle terapie ai cani malati e poi soppressi. Emerge che i cani con la rogna non venivano curati con le terapie dai protocolli medici, perché i farmaci avrebbero compromesso la vendita dell’animale per uso sperimentale.

Il 12 gennaio 2015 le conclusioni. L’accusa chiede la condanna a tre anni e sei mesi per il veterinario responsabile della struttura e a 2 e 3 anni per i cogestori e il direttore dell’allevamento, contestando inoltre la falsa testimonianza nei confronti di 5 ex dipendenti. Nella sua requisitoria, il pm Cassiani sottolinea che «All’interno di Green Hill non c’era alcun interesse a curare i cani malati. Le cure avrebbero potuto alterare i parametri per le sperimentazioni. I cani andavano quindi sacrificati». Una sorte che secondo le ricostruzioni della Procura sarebbe toccata a oltre 6mila cani tra il 2008 e il 2012. Di contro, la difesa ha richiesto l’assoluzione piena perché il fatto non sussiste, trincerandosi dietro i verbali di ispezione secondo cui nell’allevamento era tutto in regola e ignorando le prove dell’accusa, che hanno dimostrato che si trattava di controlli pilotati.

Oggi a Brescia la lettura della sentenza: tre condanne e una sola assoluzione. Ghislane Rondot, gestore dell’allevamento di proprietà della Marshall e il veterinario Renzo Graziosi sono stati condannati a un anno e sei mesi. Il direttore Roberto Bravi è stato condannato a un anno più le spese. Il secondo gestore dell’allevamento, Bernard Gotti, è stato invece assolto per non aver commesso il fatto. Questo verdetto è completato dalla confisca dei Beagle e dalla sospensione per due anni dalle attività dei condannati.

I tre condannati in primo grado ricorreranno sicuramente in appello. Ma intanto, in attesa del verdetto definitivo, resta un risultato importante e senza paragoni: la libertà per tutti i cani liberati da quel luogo orribile, sapendo che mai più nessun allevamento di cani per laboratori potrà sorgere in Italia.