La ricerca petrolifera che uccide il mare


Simone Montuschi
President

LA RICERCA PETROLIFERA CHE UCCIDE IL MARE

I risultati delle autopsie sulle tre femmine di capodoglio (di cui una incinta) morte venerdì scorso sulla spiaggia di Vasto (CH) non lasciano molti dubbi. La presenza di gas nei corpi di questi grandi mammiferi (che ne ha portato la morte per embolia) indica che la causa dello spiaggiamento e della morte sia stata molto probabilmente provocata dalla pratica del cosiddetto “air-gun”, una sequenza di spari di aria compressa nel sottosuolo che provocano onde riflesse da cui estrarre informazioni su eventuali giacimenti petroliferi. Una pratica che, se anche non fosse in questo caso diretta conseguenza della morte dei capodogli, è estremamente lesiva per la fauna marina in quanto può causare ferite profonde, perdita dell’udito e dell’orientamento.

Questo gravissimo episodio, il secondo spiaggiamento più grande nella storia italiana dopo la tragedia del 2009 in Puglia in cui sette capodogli persero la vita, è diretta conseguenza della devastazione ambientale in atto da anni nella cosiddetta “Regione Verde d’Europa” e in altre regioni limitrofe.

Dal rischio attuale di realizzazione e completamento del discusso “centro oli” di Ortona alle nuove raffinerie in progetto di costruzione, l’Abruzzo si presta ad essere uno dei territori più a rischio di disastri ecologici. Non a caso, esperti ambientali e sismologi continuano ad segnalare i rischi dell’implementazione di attività minerarie in una zona ad elevata attività tellurica, con delle conseguenze disastrose in caso di forti scosse di terremoto.

Come per l’Abruzzo, anche altre regioni del nostro Paese rischiano di diventare dei distretti minerari. Per quale utilità reale? Dati recenti stimano che le riserve petrolifere nei nostri fondali corrispondano a circa 11 milioni di tonnellate. Con i nostri consumi attuali, queste riserve si esaurirebbero nel giro di due mesi, e i tanto sbandierati posti di lavoro creati dalle attività estrattive vedrebbero la propria fine nel giro di pochi anni.

Più di 700 pozzi esplorativi scavati, decine di piattaforme marine destinate ad attività estrattive e un “land-grabbing” vergognoso da parte di note compagnie petrolifere (con il silenzio assenso di parte dei politici locali) sono solo un piccolo assaggio di quello che potrebbe succedere negli anni a venire.

Il governo Renzi con il recente decreto “Sblocca Italia” ha infatti in serbo uno stanziamento di 15 miliardi di Euro al fine di “valorizzare i non trascurabili giacimenti di idrocarburi presenti sul territorio nazionale” e una serie di semplificazioni normative per concedere titoli minerari e facilitare le attività estrattive sul territorio nazionale.

Tutto questo quando è ormai chiaro che il futuro deve guardare esclusivamente a fonti di energia pulite e rinnovabili. A rimetterci per ora sono stati questi capodogli, ma presto non saranno più soltanto loro.

Fonte: ilfattoquotidiano.it