Liberazione in Adriatico. Attivismo diretto per contrastare inefficaci leggi internazionali
“Cedendo alla lobby dell’industria del tonno e permettendo a questa pesca distruttiva di continuare, l’ICCAT ha chiaramente disatteso la tutela del tonno rosso. E’ sempre più chiaro come la possibilità di salvare il tonno rosso attraverso mezzi convenzionali sia fallimentare, ed è per questo motivo che The Black Fish ha dato il via alla nuova campagna ‘tonno rosso’ con questa azione di liberazione. E’ giunto il momento di finire il trattamento speciale della Croazia1 e lavorare a misure reali che mettono fine al sovra-sfruttamento del tonno rosso”
Queste le parole di Wietse van der Werf, co-fondatore di The Black Fish, organizzazione internazionale per la conservazione marina nord-europea, alla luce della liberazione di centinaia di tonni rossi da parte dei loro attivisti avvenuta al largo della costa croata domenica 8 luglio, da uno dei più grandi allevamenti di questa specie in acquicoltura a livello mondiale. Allevamento che fa capo a Umami Sustainable Seafood, azienda americana leader mondiale nel settore con una rendita nel 2011 di 54 milioni di $ e che si pone come professionista ‘sostenibile’ del commercio del tonno rosso.
GABBIE DI RETI PRESSO L'ISOLA DI UGLJAN (CROAZIA), UNO DEI PIU' GRANDI ALLEVAMENTI DI TONNO ROSSO DEL MONDO
Dopo aver assistito ad una strage in quelle acque, i membri dell’equipaggio di The Black Fish già presenti da giorni sul posto, hanno deciso di intervenire nella notte per liberare i tonni dalla loro prigione, tonni destinati principalmente al mercato asiatico, che dovrebbero essere salvaguardati in natura dall’ICCAT (Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell’Atlantico), dimostratosi essere invece essere un organismo di tutela totalmente inefficace.
Note
1 La Croazia gode di deroghe alla legge internazionale in merito ai limiti di pesce pescato, ciò gli permette anche la cattura di esemplari giovani che non hanno raggiunto –e non raggiungeranno mai- la maturità sessuale, interrompendo così il ciclo riproduttivo.
Sfortunati tra gli sfortunati gli esseri marini, ultimi tra gli ultimi, spesso relegati dalla società contemporanea al rango di ‘raccolto’, come se il mare fosse un grande campo coltivato a nostra disposizione ed i suoi abitanti del grano da falciare, un qualcosa del quale poter usufruire a piene mani, senza troppi scrupoli, perché tanto il ‘campo’ verrà riseminato e si potrà ricominciare daccapo la settimana, il mese o l’anno successivo. Ma tutti gli studi dimostrano il contrario, i mari sono sempre più poveri, ed il tonno (specie predatrice all’apice della catena alimentare che in natura compie lunghissime migrazioni annuali dal mare aperto alle zone costiere di riproduzione) negli ultimi cinquant’anni ha subito un calo medio del 60%, con punte dell’80% per ciò che riguarda proprio il tonno rosso dell’atlantico. [Fonte: www.ecoblog.it].
Anche chi si occupa di anti-specismo e liberazione animale deve fare i conti con le problematiche legate alle difficoltà logistiche di affrontare liberazioni in un elemento (l’acqua) che non ci appartiene, per il quale serve una preparazione specifica e mezzi spesso costosi, per raggiungere i siti di allevamento ed intervenire nel più breve tempo possibile. Anche per questo motivo ammiriamo il lavoro fatto da The Black Fish, che ha operato dove gli organismi preposti e le istituzioni, colpevolmente o no, non sono arrivate.
Inoltre, come sempre accade, la percezione sociale (e personale) dell’ingiustizia e del dramma è anche funzione della distanza empatica che ci separa dal soggetto/oggetto del dramma stesso.
Dalle mattanze alla semplice pesca sportiva gli organismi marini vengono lasciati agonizzare ben oltre il tempo che spetterebbe loro anche solo per ‘dignità’, nemmeno la loro morte viene tutelata e le poche leggi che esistono sono solo leggi fantoccio. E’ ormai dimostrato quanto possano soffrire esattamente come noi, ma a livello sociale siamo ancora lontanissimi dal considerali nostri pari e pertanto detentori dei diritti minimi, alla vita ed alla libertà.
La parola trade in inglese significa sia commercio che ‘tratta’, e proprio questa seconda definizione si usa riferendosi allo sfruttamento che la nostra società fa degli animali, sia esso a scopo alimentare, di ricerca, o estetico; sono schiavi, anzi peggio di schiavi, trattati al pari di beni di consumo dalla loro nascita alla loro morte programmata.
C’è solo un modo perché ognuno di noi possa cambiare lo stato delle cose, diventare vegan e attivarsi per la liberazione animale.
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Fonte: The Black Fish
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