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La storia (triste) di tre polli quasi fortunati


Simone Montuschi
President

Quando una incredibile serie di coincidenze favorevoli si verifica siamo portati a credere che tutto sia comunque destinato ad andare per il meglio e che la serie di fausti eventi sia destinata a condurre ad un inevitabile lieto fine. Purtroppo in questa occasione non è stato così e, pure quando il caso ha combattuto e vinto numerose battaglie contro un programma nefasto, ci siamo dovuti arrendere a imprevisti (previsti) che condurranno questa storia ben lontana dal lieto fine sperato.
La storia è quella di tre polli come tanti altri, tre giovani pulcinoni bianchi, condannati dai programmi dell’allevamento intensivo a finire in un macello dopo poche settimane di vita, quando ancora il corpo non è adulto, con una piccola cresta appena accennata e due goffe zampe che a malapena sorreggono il peso del loro ventre obeso. La loro vita prima di questa notte ce la immaginiamo in un groviglio di corpi ammassati, a decine di migliaia stipati l’uno sull’altro dentro un capannone illuminato notte e giorno dal freddo bagliore dei neon. Un calore insano e umido, un’aria pesante e malata come ci immaginiamo dovesse essere durante le pestilenze dei secoli passati. Odori pungenti e aggressivi spazzati con violenza dal fragore delle ventole di aereazione, in un nugolo di polvere e piume, escrementi e mangime. Le voci schiamazzanti di migliaia di loro, coperte l’una dalle altre, trasportate dalle masse in movimento di un numero incalcolabile di individui che si spostano all’unisono come un’onda nel mare.

Questa vita di giorni sempre uguali, di pasti interminabili e ricerca spasmodica di un attimo di quiete, è stata interrotta una sera di maggio da anonimi e burberi operai, con la voglia di finire in fretta, la mente altrove e nessun pensiero per gli animali catturati e gettati nelle gabbie da trasporto.

Ed è così che i tre polli, ancora mischiati a mille e mille loro simili, hanno conosciuto l’aria aperta, il cielo notturno e le stelle. Caricati in fretta su un camion, un blocco continuo di corpi, talmente stretti da annullare i confini individuali, chili di piume, di becchi, di zampe. Di carne.

L’autista la conosce a memoria quella strada, ogni sera i carichi di pollame salgono le colline della val Bidente, attraversano paesi addormentati e lambiscono boschi e prati selvaggi con una destinazione sempre uguale. Al termine del viaggio scendono nell’alveo del fiume, entrano in un grande piazzale asfaltato al centro del quale si staglia in tutta la sua tetra imponenza un gigantesco edificio, attorniato dalle macchine di decine di dipendenti e sovrastato giorno e notte dai fumi di scarico dei suoi camini metallici. Oltre le recinzioni di quel piazzale i boschi e le montagne fanno da cornice a quel luogo di morte e desolazione. Centinaia di animali vivono le loro notti libere, a pochi passi da centinaia di altri condannati fin dalla loro nascita a morire tra quelle mura.

Questa predestinazione artificiale, programmata dall’industria alimentare, può tollerare un certo margine di spreco. Accade così che in alcuni casi il lavoro è meglio farlo in fretta che farlo bene, e che l’uccisione sistematica di migliaia di individui può tollerare alcune imperfezioni se questo permette di risparmiare qualche minuto. Così succede che la gabbia da trasporto dei nostri tre polli non venga chiusa bene. E tra le curve secche della strada statale, le oscillazioni del carico sofferente aprano la gabbia concedendo un primo e ultimo volo ad alcuni animali.

Qui inizia la guerra del caso fortuito contro lo sterminio programmato, ed è così che tra quelli che precipitano dal camion solo tre riescono a non sfracellarsi sull’asfalto. Se non fossimo così abituati a considerare in maniera negativa questi animali artefatti ci stupiremmo nel pensare un uccello non capace di una semplice planata da pochi metri di altitudine al suolo. Ma al di là delle accezioni negative che abbiamo coniato per il termine ‘pollo’ esiste una dura e semplice realtà. Una realtà fatta di animali ingrassati a forza e costretti per tutta la vita all’immobilità quasi totale o a movimenti obbligati. Una realtà di grasso senza muscoli, di peso eccessivo per la struttura ossea di quello che è poco più di un pulcino, di penne distrutte o rovinate, di un’ala che non è più un’ala, ma una scomoda e inutile appendice su un corpo deforme.

Ed è così che quello che avrebbe potuto essere un balzo verso la libertà si trasforma in una caduta libera sul ruvido asfalto che quando non spezza le ossa strappa la pelle o spappola gli organi interni.

Ma il caso fortuito ormai si è messo in moto e tre di loro riescono in qualche modo a limitare i danni, e così giacciono, doloranti e spaesati sull’asfalto in mezzo alla carreggiata in una notte di maggio. Non si spiega per quale casualità nessuna autovettura lanciata a folle corsa sulla strada deserta li abbia falciati prima, ma sta di fatto che le prime persone che questi tre polli incontrano sono persone improbabili per quel luogo.

In una valle dove non si possono percorrere due chilometri senza incontrare con lo sguardo i capannoni di un allevamento intensivo (di polli, perché avere il macello sotto casa è una gran bella cosa) e nella quale tutte le famiglie hanno un padre, un nonno o un cognato che vanno a caccia, sono i soli a non avere cattive intenzioni ad incontrarli. Nella migliore delle possibilità sarebbe potuto passare qualcuno più indifferente, che pur capendo la situazione non l’avrebbe valutata abbastanza importante da fermare l’auto in mezzo alla strada alle tre del mattino.

Ma incredibilmente non è andata così. I tre polli hanno trovato mani solidali per raccoglierli, un luogo tranquillo dove passare la notte e potenzialmente il resto di una vita che nessuno sapeva di avere.

E qui finiscono le forze del caso, che tanto si è adoperato per modificare una storia già scritta. I tre polli lasciati al riparo non sono riusciti a vincere il resto della battaglia. Né le loro poche forze residue né gli sforzi di chi ha tentato di aiutarli hanno potuto evitare la morte di due di loro durante la notte.

Un terzo sta ora ancora soffrendo per una brutta frattura ad una zampa e un’ampia ferita dovuta allo sfregamento sull’asfalto che gli ha strappato buona parte della pelle sull’addome. Medicazioni e amore possono fare poco contro un sistema studiato in ogni minimo dettaglio per creare individui adatti solo ad essere macellati. Resta l’amarezza per essere arrivati così vicino alla salvezza, e vederla poi scivolare via sotto il cielo notturno di una fredda sera di maggio.

 Stefano ‘Foglia’ Belacchi attivista di essereAnimali

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Notizie associate:
Video-risposta di Stefano Belacchi a Daris De Rocchi*
*responsabile animali allo zoo-safari di ravenna-Le Dune del Delta-

Approfondimenti:
Polli Tacchini Oche