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Le cinque libertà negate agli animali


Simone Montuschi
President

Le cinque libertà negate agli animali

Riportiamo la testimonianza completa dell’etologa
Dr.ssa Giulia Bompadre -Medico Veterinario Comportamentalista- da noi interpellata per commentare il video e valutare le condizioni degli animali detenuti a Cesena dal circo Miranda Orfei.

Quella che segue è la descrizione dei bisogni primari fondamentali che un animale dovrebbe poter soddisfare per avere una vita appagante, libera da ogni forma di sfruttamento.

L’attenzione dell’etologa si è soffermata sull’ippopotamo Aisha che fra tutti gli individui detenuti appare probabilmente come il più colpito dai disagi che la cattività comporta. Difatti se si esclude la possibilità di bere autonomamente, tutte le altre libertà fondamentali per vivere una vita degna gli sono totalmente negate. Con questo non vogliamo levare visibilità alle incredibili sofferenze a cui sono costretti cavalli, un cammello, leonesse, una tigre, una zebra, pappagalli, lama, alpaca, bufali e  struzzi, ovvero a tutti gli animali purtroppo rinchiusi dal circo Miranda Orfei.

Le cinque libertà

Osservando i filmati è evidente che, sotto la più totale indifferenza della gente, quell’essere animale ripreso in primo in piano non è in grado di soddisfare i propri bisogni fondamentali. I bisogni fondamentali e primari di ogni essere animale sono elencati nelle Cinque Libertà:

  1. Libertà dalla sete, dalla fame, dalla cattiva nutrizione
  2. Libertà di avere un ambiente fisico adeguato
  3. Libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
  4. Libertà di manifestare i normali comportamenti della specie a cui si appartiene
  5. Libertà dalla paura e dal disagio

Le esigenze fondamentali e primarie devono essere garantite sempre e ovunque, soprattutto in condizioni di cattività, come nel caso dei circhi, degli allevamenti, dei canili, dove l’animale non è in grado di soddisfare autonomamente le proprie necessità. Dal video è evidente l’isolamento sociale di questo mammifero erbivoro che in natura vive all’interno di gruppi sociali; l’inadeguatezza dell’ambiente fisico, da cui l’impossibilità di manifestare i normali comportamenti di specie; ed è perciò ragionevole supporre uno stato di stress/disagio.
Solo conoscendo e rispettando le esigenze fondamentali di ciascun animale e della specie di appartenenza, potremo salvaguardare il loro benessere e la loro salute fisica e psichica. Quanto segue è tratto da wikipedia e ci aiuta a capire che cosa significa libertà di attuare i normali comportamenti di specie e di avere un ambiente fisico adeguato.

Gli ippopotami vivono in gruppo su un territorio (lago o fiume) che varia a seconda del genere di superficie d’acqua e della stagione. Lungo le sponde di un fiume, in uno spazio meno esteso, abitano più animali di quanti se ne radunino in genere sulle rive di un lago: trentatré ippopotami possono spartirsi cento metri del bordo di un fiume, mentre in cento metri di quello di un lago coabitano solo sette esemplari.

Il regno di un maschio dominante, se è costituito da un corso d’acqua, si estende per 50-100 metri, mentre può raggiungere i 500 metri se è formato dalle acque di un lago. Ed è proprio il maschio dominante a marcare il territorio: piazzandosi sui bordi, il dorso verso la riva, sparge i suoi escrementi in un raggio di due metri. Questo genere di spettacolo sembra affascinare molto i giovani che vengono ad annusare e, talvolta, a inghiottire gli escrementi del capo.

Finché gli esemplari giovani, e soprattutto i maschi quasi adulti, adottano un comportamento di sottomissione verso il maschio dominante, tutto va bene; ma se essi tengono la testa alta, un atteggiamento che il capo interpreta sempre come una sfida, le cose possono guastarsi: le numerose cicatrici sul corpo dei grandi maschi ci lasciano intuire quanto i contrasti possano essere cruenti. In queste circostanze, i canini costituiscono una valida arma. Essi non solo servono infatti per mangiare, ma possono provocare profonde ferite (le quali però cicatrizzano con straordinaria rapidità). I combattimenti si svolgono tra feroci grugniti, cariche nell’acqua, atteggiamenti intimidatori a fauci spalancate. La mandibola di questo animale può spalancarsi a 150 gradi – una vera enormità – e quindi possiede una buona muscolatura. Lo sbadiglio dell’ippopotamo può essere facilmente confuso con un altro gesto dell’animale, e può effettivamente divenire una minaccia: quando il maschio ripiega il più indietro possibile la testa mettendo in mostra tutta la gola in un gesto di sfida per calmare ogni velleità di rivolta interna al gruppo.

I combattimenti possono essere mortali, ma scontri di questa portata sono rari, perché l’ippopotamo ha molto rispetto per la gerarchia. Uno dei comportamenti sociali più caratteristici della specie potrebbe chiamarsi “defecazione di sottomissione”: un esemplare subalterno si gira, tira fuori dall’acqua il fondo della schiena, spruzza ben bene il muso del dominante con i suoi escrementi e li spande tutt’intorno con vigorosi colpi di coda laterali. Chi è più in alto nella scala sociale sollecita questo gesto dai giovani maschi: gira loro intorno, tira fuori le spalle dall’acqua, tenendo la testa inclinata. Ogni esemplare che arricchisce nello stesso modo il mucchio di escrementi porge così il suo “saluto” al dominante, facendogli intendere che riconosce il suo posto di comando. In un gruppo possono aver luogo più di cinque defecazioni di sottomissione all’ora, di cui un terzo viene diretto contro il dominante. Tra gli adulti sono frequenti anche i finti combattimenti, labbra contro labbra.

E’ bene ricordare che la mancanza anche solo di una delle cinque libertà sopra elencate non consente di affermare che l’animale sia in uno stato di benessere fisico e psichico, in quanto si tratta della mancanza del soddisfacimento di bisogni primari e, per tanto, tutti indispensabili (Brambell, 1962). Solo la reale comprensione della portata di questo messaggio ci può indurre a cambiare atteggiamento di fronte agli spettacoli circernsi.